Dopo la vittoria al 64° Festival di Sanremo del Premio della Critica “Mia Martini” e del premio “Sergio Bardotti” per il miglior testo, con il brano “Invisibili”, Cristiano De Andrè torna live con “VIa dell’amore vicendevole-Tour live 2014”, iniziato a fine giugno. La tournée estiva farà tappa in tutta la penisola e arriverà sul palco di Asti Musica mercoledì 23 luglio, al costo di 20 euro. De André junior interpreterà i suoi successi più classici, da “Dietro la porta” a “Cose che dimentico” e i brani del suo ultimo album “Come in cielo così in guerra” da “Invisibili” a “Il cielo è vuoto” a “Non è una favola”. Farà rivivere inoltre alcuni capolavori di Faber ormai entrati a far parte del suo repertorio live come “Il pescatore”, “Creuza de ma” e “La canzone dell’amore perduto”, in un concerto che si preannuncia ricco di intense emozioni. Abbiamo quindi incontrato l’artista pochi giorni prima del debutto astigiano. A Sanremo ha avuto un grande successo come cantautore: dove direbbe che sorgono le radici della sua creatività? “La creatività viene dal caos interiore: tutti gli artisti, siano essi poeti, musicisti o pittori, creano perché gli manca una gamba e cercano di ritrovarla attraverso l’arte. Vale anche per me e per mio padre, la cui feroce sensibilità non si è mai placata. Saliva sul palco con la bottiglia di Glen Grant e ti coinvolgeva nel suo dolore fino a farti piangere”. Suo padre è una figura che puó fare ombra. Come è stato il percorso per iniziare a camminare con le sue gambe? “Sono orgoglioso del cognome che porto. Ho fatto la mia strada, ho faticato, ho dimostrato al mondo che sono un artista. È stato un processo lungo. La prima volta, mentre studiavo al Conservatorio, mio padre mi fece salire sul palco e mi presentò: “Questo è mio figlio e suonerà il violino”. Avevo 22 anni e, se posso dirlo, suonai meglio di Lucio Fabbri. Poi l’ho accompagnato nei tour acquistando sicurezza. Oggi rivisito il suo repertorio a modo mio”. Quali sono le idee che reggono la sua vita e che cerca di trasmettere attraverso le sue canzoni? “La bellezza dell’amore, un senso anarchico della società. Una realtà dove il nonno era un saggio e non un peso, una realtà dove ognuno aveva un ruolo e nessuno delegava i propri doveri e responsabilità. Siamo in un’era dove abbiamo trecento social network, tantissime possibilità tecnologiche ma ci sentiamo soli. Non abbiamo più il coraggio di migliorarci e seguire le cose che ci servono per crescere. Ho visto molta più felicità negli occhi di chi non ha più niente che in noi. I valori veri sono altri, come agire per fare del bene o per aggiungere (e non sottrarre) qualcosa alla storia, all’arte, alla poesia. Valori sono anche le nostre fragilità. Troppi pochi artisti parlano del mondo e della loro visione di ciò che li circonda. Io cerco di trasmettere i miei valori con la mia musica, con quello che dico e penso. Con la forza della parola. Di nostalgico c’è quello che ci ha lasciato la rivoluzione culturale degli anni ’70. Quarant’anni fa eravamo più intelligenti, poi è calato una sorta di oscurantismo in cui il denaro è diventato un valore invece che un mezzo. Finché non avremo il coraggio di guardarci dentro e coltivare i valori veri, non ci potremo salvare. Saremo sempre più arrabbiati e meno soddisfatti”. Elena Fassio
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