Violenza contro gli operatori sanitari: istituzioni e professioni a confronto
Si è svolta nella sede di Astiss la conferenza stampa promossa dal Nursing Up Piemonte e Valle d’Aosta sul tema della violenza contro infermieri, professionisti sanitari e OSS. Un confronto che ha riunito rappresentanti delle istituzioni regionali e locali, degli Ordini professionali, delle direzioni sanitarie e del mondo accademico, con l’obiettivo di affrontare in modo strutturale un fenomeno in costante crescita.
Nel corso dell’incontro sono stati presentati dati aggiornati che restituiscono un quadro allarmante. Nel 2024, in Piemonte, sono state registrate 1.040 aggressioni verbali e 361 aggressioni fisiche ai danni del personale sanitario. Nei primi dieci mesi del 2025, solo negli ospedali della Città di Torino, si contano 290 aggressioni, di cui 93 fisiche. Un incremento del 53% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a fronte di un sommerso stimato che riguarda circa il 72% degli episodi, mai formalmente denunciati.
Claudio Delli Carri, segretario regionale del Nursing Up Piemonte e Valle d’Aosta e promotore dell’iniziativa, ha sottolineato come la violenza rappresenti ormai una criticità strutturale del sistema sanitario: «I numeri che registriamo raccontano una realtà che non può più essere ignorata. Le aggressioni contro infermieri, professionisti sanitari e OSS non sono eventi isolati, ma il risultato di un insieme di fattori che includono sovraffollamento delle strutture, carenze di personale, carichi di lavoro insostenibili e una riorganizzazione territoriale ancora in fase di assestamento. Tutto questo espone quotidianamente i lavoratori a situazioni di rischio che incidono sul loro benessere fisico e psicologico e, di conseguenza, sulla qualità dell’assistenza ai cittadini». Delli Carri ha quindi ribadito le richieste del sindacato: «Servono misure immediate e strutturate: maggiore sicurezza nei pronto soccorso e nei reparti più esposti, supporto psicologico continuativo per chi subisce aggressioni, formazione obbligatoria sulla gestione delle situazioni critiche, sistemi di monitoraggio efficaci e una presenza rafforzata delle forze dell’ordine nelle fasce orarie più delicate. La tutela degli operatori non può essere demandata ai singoli presidi, ma deve diventare una responsabilità condivisa tra istituzioni, aziende sanitarie, Ordini professionali e rappresentanze dei lavoratori».
Federico Riboldi, assessore alla Sanità della Regione Piemonte, non presente in conferenza stampa perchè impegnato nell’approvazione del piano sociosanitario, ha illustrato, con una nota stampa, la linea regionale sul contrasto alle aggressioni in sanità e lo stato delle misure attualmente in campo: «La violenza contro gli operatori sanitari è un fenomeno inaccettabile, che non possiamo più considerare episodico ma strutturale, e che richiede una risposta altrettanto strutturata da parte delle istituzioni. Voglio innanzitutto
esprimere un plauso e un sincero ringraziamento alle donne e agli uomini della sanità piemontese che operano ogni giorno nell’emergenza-urgenza, in contesti spesso critici e complessi, garantendo professionalità, competenza e umanità anche nelle situazioni più difficili».
Prosegue Riboldi: «La Regione Piemonte ha scelto di intervenire su più livelli: prevenzione, sicurezza, organizzazione e supporto alle persone. Abbiamo firmato protocolli con Prefetture e Questure per rafforzare la collaborazione nelle situazioni più critiche, avviato una gara d’appalto per garantire la presenza di guardie armate nei pronto soccorso e, attraverso Azienda Zero, una consultazione preliminare di mercato per individuare soluzioni tecnologiche avanzate – sistemi di videosorveglianza e allarme – a tutela del personale sanitario nei luoghi più sensibili delle strutture. – ha concluso – Ma la sicurezza non è solo presidio: è anche organizzazione e relazione. Per questo abbiamo aggiornato il Progetto di accoglienza e umanizzazione dei pronto soccorso, introducendo figure dedicate alla gestione dei conflitti, il supporto delle associazioni di volontariato e, nei contesti più complessi, la presenza dello psicologo a supporto di pazienti, familiari e operatori. Proteggere chi cura significa difendere il Servizio sanitario pubblico e la qualità dell’assistenza che offriamo ai cittadini».
Sul piano culturale e sociale è intervenuto Ivan Bufalo, presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Torino e coordinatore regionale OPI Piemonte, che ha richiamato il ruolo degli Ordini nel rafforzare il rapporto di fiducia tra cittadini e professionisti:
«Uno dei compiti fondamentali degli Ordini è lavorare sulla cittadinanza per migliorare l’immagine sociale dell’infermiere, valorizzando il ruolo all’interno della comunità. L’infermiere è il principale alleato della persona assistita nella tutela dei suoi interessi di cura e nel mantenimento dello stato di salute, in una logica che tiene conto dei bisogni individuali». Bufalo ha quindi aggiunto: «Se il cittadino percepisce l’infermiere come un alleato e non come un avversario nella gestione della domanda di assistenza, cambia anche il clima relazionale. Il rispetto nasce da questa consapevolezza, e senza rispetto non può esserci sicurezza né qualità assistenziale».
Nel corso della conferenza è intervenuto anche Maurizio Rasero, presidente della Provincia di Asti e sindaco di Asti, che ha evidenziato il valore sociale della sicurezza nelle strutture sanitarie: «La sicurezza delle strutture sanitarie è un tema che tocca direttamente la qualità della vita delle nostre comunità. Ospedali, ambulatori, case della salute e residenze assistenziali non sono solo luoghi di cura: sono presidi fondamentali per la tenuta sociale e per la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La sicurezza delle strutture sanitarie non è un traguardo, ma un impegno quotidiano che richiede visione, collaborazione e responsabilità». Rasero ha quindi aggiunto: «Medici, infermieri, tecnici e personale di supporto ogni giorno garantiscono cura, attenzione e professionalità anche nelle condizioni più complesse e vedere queste figure colpite da gesti di aggressività è inaccettabile. L’Amministrazione comunale è al loro fianco, pronta a collaborare con tutte le istituzioni competenti per rafforzare le misure di prevenzione, tutela e ascolto».
Sono inoltre intervenuti Claudio Lucia, presidente dell’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Asti, che ha richiamato l’importanza di rafforzare il rapporto di fiducia tra cittadini e sistema sanitario, sottolineando la necessità di una maggiore consapevolezza del ruolo svolto dal Servizio sanitario nazionale: «È fondamentale infondere nei cittadini un senso di maggiore sicurezza e una comprensione più chiara del valore e della funzione del Servizio sanitario nazionale, che rappresenta un presidio essenziale di tutela della salute collettiva». Lucia ha quindi evidenziato il ruolo strategico del territorio: «Agire in modo efficace sul territorio significa dare risposte più tempestive e adeguate ai bisogni di salute delle persone, contribuendo a ridurre il ricorso improprio ai pronto soccorso e ad alleggerire la pressione su strutture già fortemente sollecitate. Una sanità territoriale forte è uno degli strumenti più concreti anche per prevenire tensioni e conflitti nei luoghi di cura».
Stefania Calcari, presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Asti, ha richiamato l’attenzione sull’importanza di non abbassare la guardia anche di fronte a dati apparentemente in miglioramento: «Il calo degli episodi registrati non deve diventare un alibi per minimizzare il problema. Anche una sola aggressione, fisica o verbale, è inaccettabile. La violenza verbale, spesso non segnalata perché percepita come parte del lavoro, incide profondamente sul benessere professionale e sulla qualità dell’assistenza, ed è per questo fondamentale che ogni episodio venga segnalato». Calcari ha quindi sottolineato il valore di un’azione condivisa: «Il contrasto alla violenza non può essere demandato a una singola professione o a un singolo ente. Servono scelte organizzative, formative e istituzionali chiare, fondate sulla collaborazione tra aziende sanitarie, Ordini professionali, sindacati, istituzioni e forze dell’ordine. Come OPI Asti continueremo a investire nella formazione, anche multiprofessionale, nella sensibilizzazione della cittadinanza e nel supporto agli operatori, perché tutelare chi cura significa tutelare la salute di tutti».
Interviene Giovanni Gorgoni, direttore generale dell’Asl AT: «Nel corso degli ultimi anni si registra una diminuzione complessiva degli episodi di aggressione nei confronti del personale sanitario, ma questo dato non può e non deve indurre a un abbassamento dell’attenzione. Anche un solo episodio di violenza, fisica o verbale, resta inaccettabile dal punto di vista civile, culturale e sociale», sottolinea Gorgoni.
Nel dettaglio nell’Asl astigiana, nel 2022 sono stati registrati 74 episodi di aggressione, di cui 30 fisici. Nel 2023 gli eventi sono scesi a 49, con 13 aggressioni fisiche. Nel 2024 i casi sono stati 54, di cui 4 fisici. Nel 2025, fino alla data di ieri, si contano 35 episodi, con 5 aggressioni fisiche.
Si tratta di dati rilevati dal Servizio di Prevenzione e Protezione, che non includono la totalità delle aggressioni verbali, spesso non denunciate e quindi non registrate statisticamente.
«Chi lavora nella sanità non si occupa soltanto della salute delle persone, ma si fa carico anche della loro paura, della loro fragilità, del loro disagio. Aggredire chi cura significa colpire un presidio fondamentale della nostra società», evidenzia Gorgoni.
«Il fenomeno non riguarda esclusivamente situazioni di marginalità sociale: esiste una delegittimazione più ampia e strisciante che va contrastata con decisione, attraverso prevenzione, formazione e un’azione culturale condivisa. – prosegue Gorgoni – Il Servizio sanitario nazionale italiano resta uno dei sistemi più universalistici e generosi a livello internazionale. Difenderlo significa tutelare chi ogni giorno garantisce cure, assistenza e prossimità ai cittadini. Su questo fronte l’Asl AT continuerà a lavorare con determinazione, a tutela del personale e della qualità del servizio», conclude il direttore generale.
Luigi Giacomini, assessore alla Sicurezza del Comune di Asti, è intervenuto sui recenti episodi avvenuti presso il Pronto Soccorso dell’ospedale Cardinal Massaia: «Negli ultimi giorni il Pronto Soccorso è stato teatro di gravi episodi di violenza che hanno coinvolto medici, infermieri e personale di vigilanza, con otto operatori rimasti feriti. Si tratta di fatti inaccettabili, che non possono e non devono essere tollerati». Giacomini ha quindi riconosciuto gli interventi già avviati: «Il rafforzamento della vigilanza interna, l’attivazione di protocolli di sicurezza più stringenti e la richiesta di un presidio interforze rappresentano segnali importanti, ma non sufficienti se non inseriti in una strategia più ampia». L’assessore ha quindi ribadito la necessità di «un presidio fisso delle forze dell’ordine presso il Pronto Soccorso, attivo 24 ore su 24, e di un piano integrato di sicurezza che coinvolga Prefettura, ASL, sindacati e amministrazione locale, accompagnato da percorsi formativi specifici per il personale sanitario e da campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini». Giacomini ha concluso sottolineando che «tutelare la dignità e la sicurezza degli operatori sanitari significa garantire il diritto alla salute dell’intera comunità. La violenza contro chi cura e assiste è un attacco collettivo, e come amministrazione ci impegniamo a promuovere soluzioni strutturali e durature affinché il Pronto Soccorso torni a essere un luogo di cura e non di paura». Enrico Mirisola, segretario provinciale Nursing Up Asti, ha richiamato l’attenzione sulle criticità del territorio: «La violenza nei confronti degli operatori sanitari è un fenomeno in crescita, come dimostrano anche i recenti episodi verificatisi nel Pronto Soccorso di Asti. Medici, infermieri, professionisti sanitari e OSS continuano a garantire assistenza in contesti complessi, ma sempre più spesso sono costretti a lavorare in condizioni di tensione e insicurezza». Mirisola ha sottolineato che «il problema non riguarda solo il Pronto Soccorso, ma anche altri servizi territoriali ad alta complessità, dove il rischio di aggressioni è concreto e quotidiano». Pur riconoscendo gli interventi già avviati dall’ASL AT, ha evidenziato la necessità di «rafforzare ulteriormente le misure di prevenzione, valutando un presidio di polizia stabile o potenziato nelle fasce più critiche» e di «aprire un tavolo di confronto strutturato tra istituzioni, azienda sanitaria e rappresentanze dei lavoratori». Ha infine ribadito che «tutelare chi cura è una responsabilità pubblica e una condizione essenziale per garantire un servizio sanitario sicuro ed efficace per tutti».
Pietro Ricci, dirigente delle Professioni Sanitarie DiPSa dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Alessandria, ha illustrato l’impegno concreto messo in campo dall’AOU-AL per la tutela degli operatori sanitari: «Di fronte a un fenomeno in crescita come quello delle aggressioni, la nostra Azienda ha scelto di intervenire in modo strutturato, integrando prevenzione, organizzazione e protezione. La sicurezza del personale non può essere
affidata a interventi episodici, ma deve poggiare su strumenti chiari, procedure condivise e una responsabilità istituzionale forte». Ricci ha quindi evidenziato il lavoro svolto negli ultimi anni: «Abbiamo rafforzato la collaborazione con Prefettura e Forze dell’Ordine attraverso un protocollo dedicato, aggiornato il Documento di Valutazione del Rischio e definito linee guida operative aziendali per la prevenzione e la gestione delle aggressioni, prevedendo anche forme di supporto agli operatori coinvolti». Un’attenzione che passa anche da misure concrete: «Il potenziamento della vigilanza nei presidi più esposti, l’uso di tecnologie di sicurezza, la formazione obbligatoria sulla gestione delle situazioni critiche e una comunicazione chiara sul fatto che ogni atto di violenza, anche verbale, costituisce un reato, rappresentano elementi fondamentali di una strategia che mira a ridurre il rischio e a tutelare la salute psicofisica di chi lavora. La sicurezza degli operatori è una condizione imprescindibile per garantire cure di qualità e continuità assistenziale».
Beatrice Albanesi, ricercatrice del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università di Torino, ha richiamato l’attenzione sulle evidenze scientifiche che descrivono la violenza in sanità come un rischio strutturale e documentato: «A livello internazionale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che tra l’8% e il 38% dei professionisti sanitari subisca almeno un episodio di violenza fisica nel corso della carriera, mentre minacce e aggressioni verbali risultano ancora più frequenti. Una metanalisi internazionale indica che fino al 62% degli operatori sanitari ha sperimentato violenza sul posto di lavoro, prevalentemente sotto forma di abuso verbale, minacce e molestie». Albanesi ha quindi richiamato anche i dati nazionali: «In Italia, tra il 2019 e il 2023, gli operatori più frequentemente coinvolti risultano gli infermieri, che rappresentano oltre il 76% degli episodi segnalati, seguiti da medici e altri professionisti sanitari. La violenza verbale è la forma più diffusa, ma non vanno sottovalutati gli episodi fisici e quelli misti». Un elemento critico resta la sotto-segnalazione: «Le stime indicano che il 70–80% degli episodi potrebbe non essere denunciato, rendendo il fenomeno in parte invisibile». Sul fronte delle soluzioni, la ricercatrice ha sottolineato che «le evidenze mostrano come gli interventi più efficaci siano quelli integrati e continuativi, che combinano sistemi di segnalazione e monitoraggio, valutazione precoce del rischio, interventi organizzativi e ambientali, formazione periodica sulla comunicazione e sulla de-escalation e supporto post-evento per le vittime. Proteggere chi cura è un obiettivo di sicurezza e qualità del sistema sanitario e richiede azioni misurabili, indicatori condivisi e una valutazione costante dell’impatto nel tempo».