Penultima puntata del viaggio di SOS donna dentro ai servizi che aiutano le vittime della violenza di genere. Questa settimana i Carabinieri fanno il punto sul lavoro svolto nel primo semestre dell’anno: in aumento i casi (23 denunce e 1 arresto) per maltrattamenti familiari, lesioni in ambito domestico, stalking/atti persecutori, violenza sessuale, revenge porn.

Oltre a commentare i dati, nell’intervista il comandante tenente colonnello Pierantonio Breda e il maggiore Maurizio Hoffmann (Reparto Operativo) si soffermano sui problemi del bullismo e del furto d’identità e lanciano una proposta per sensibilizzare maggiormente le donne straniere che subiscono maltrattamenti in famiglia. Nella Caserma di via delle Corse 5 resta attiva la Stanza tutta per sé, spazio protetto per donne e bambini. In caso di emergenza si può telefonare al 112, attivo nelle 24 ore come il centralino dei carabinieri (0141.3581).

La conversazione, a cura di Laura Nosenzo, è pubblicata sul sito sos-donna.it dove si trovano anche i numeri di telefono dei servizi attivi contro la violenza ad Asti. SOS donna è un progetto dell’Associazione culturale Agar sostenuto, tra gli altri, dal Consiglio regionale, attraverso la Consulta delle Elette del Piemonte, e a cui collaborano una ventina di istituzioni e associazioni del territorio.

L’intervista ai Carabinieri: “Facciamo rete per aiutare le donne”

Ancora donne che chiedono aiuto nei 24 casi seguiti dai Carabinieri di Asti nei primi sei mesi dell’anno, lockdown compreso.

Il doloroso capitolo della violenza di genere ha riguardato 16 episodi di maltrattamenti in famiglia, 3 per lesioni, sempre in ambito domestico, 2 per stalking/atti persecutori e altrettanti per violenza sessuale; un caso di revenge porn (diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti).

In tutto 23 uomini denunciati e uno arrestato.

Quali riflessioni inducono questi dati?

Ne parliamo con il comandante tenente colonnello Pierantonio Breda e il maggiore Maurizio Hoffmann, a capo del Reparto Operativo e responsabile della comunicazione.

Dal 2017 al Comando provinciale di via delle Corse funziona la Stanza tutta per sé, uno spazio molto confortevole riservato alle vittime di violenza (referente il tenente Roberto Iandiorio).

Dal vostro osservatorio il problema della violenza di genere, nell’Astigiano, sta assumendo più rilevanza che in passato?

Rispetto allo stesso periodo del 2019, in questo primo semestre dell’anno i casi di maltrattamenti in famiglia sono aumentati. Ai pochi episodi dei primi due mesi è seguito un maggior numero di denunce nel periodo successivo, complice la conflittualità in famiglia determinata dalla convivenza forzata durante il lockdown. Se da un lato il confinamento domestico ha aggravato la situazione delle vittime, dall’altro però le donne si sono date più coraggio: i nostri interventi sono scaturiti dalle chiamate fatte da loro stesse al 112.

In un caso, potendo certificare sul momento la violenza inflitta, abbiamo proceduto all’arresto dell’uomo; negli altri 23 episodi è scattata la denuncia.

Due donne, senza figli, sono state messe in protezione. Le vittime sono per gran parte italiane e gli episodi hanno riguardato soprattutto la zona Sud della provincia.

Scorrendo i dati astigiani, continua a esserci una prevalenza di donne italiane che si rivolgono al Pronto Soccorso, al centro antiviolenza o alle forze dell’ordine.

Le donne straniere restano perlopiù nel sommerso. Quale potrebbe essere un modo efficace per avvicinarle e informarle sui servizi rivolti a chi subisce violenza domestica, sui loro diritti e sulle possibilità di essere aiutate?

Sono persone che spesso vivono con mariti che a stento le fanno uscire di casa. Le azioni di sensibilizzazione, promosse sul territorio contro la violenza di genere, per le modalità con cui vengono attuate potrebbero non riuscire a raggiungerle.

Bisognerebbe dunque operare, in accordo con i responsabili, nei luoghi in cui queste donne esercitano la vita relazionale: per esempio, nei centri culturali islamici in cui le donne vanno anche a imparare l’italiano e agli italiani si insegna l’arabo. Un’opportunità di aggregazione tra persone di differenti nazionalità che potrebbe aiutare chi già vive il problema del maltrattamento domestico, o potrebbe esserne vittima, acquisendo utili informazioni per tutelarsi.      

Un’idea potrebbe essere questa: perché non prevedere, nel programma dei corsi per imparare l’italiano, anche un’ora di lezione sulla violenza di genere con gli operatori dei servizi astigiani, distribuendo materiale con informazioni che possono supportare le donne?

Spesso i giornali, nel riferire episodi di cronaca, indicano che il maltrattante era sotto l’effetto dell’alcol o della droga. In base alla vostra esperienza quanto incide la dipendenza da queste sostanze nell’usare violenza a una donna? 

La violenza prescinde da qualsiasi stato di alterazione. Diciamo che essere ubriaco o sotto l’effetto della droga aggrava una situazione il più delle volte già pesantemente compromessa.

E poi non c’è solo la violenza fisica.

Parlando di bullismo, per esempio, si nota come quella psicologica costituisca una parte importante del profondo disagio che vede adolescenti e giovani donne nella parte delle vittime. La scuola, nella percezione comune, è identificata come il terreno più fertile per la nascita di questo fenomeno: è davvero così?

Il bullismo non è un’esclusiva di quel mondo. Per la nostra esperienza, la scuola è generalmente un argine contro il bullismo: isola chi vuole dominare sugli altri ed è lì che le vittime trovano conforto  nei compagni e negli insegnanti.

Molto dipende comunque dal tipo di approccio che il corpo docente attua per fronteggiare comportamenti vessatori, muovendosi in una dimensione educativa e lavorando in un sistema di rete che può comprendere anche la famiglia e i servizi.

Uno dei problemi che discendono dal bullismo, e di cui si dovrebbe forse parlare di più, è il furto d’identità che coinvolge spesso anche le giovani donne e le adolescenti.   

Facciamo qualche esempio per spiegare cos’è, come si manifesta e lo si contrasta.

L’esempio classico: compro su Facebook i biglietti per un concerto. I biglietti però non arrivano. Scrivo per chiedere spiegazione, risposta: il concerto è rimandato, per restituirteli devi mandarmi le credenziali del tuo conto corrente (codice utente, password) e l’Iban, così ti faccio il versamento. In realtà questi dati servono a sottrarre soldi dal conto, anche a ripetizione. Le banche in genere sono attente nel segnalare prelievi sospetti al correntista, ma la prima difesa è che sia l’interessato a controllare frequentemente il conto. E soprattutto che non diffonda mai dati riservati dei suoi profili (anche le password del cellulare e del pc).

L’esempio collegato al bullismo: sono una persona che ti conosce, dopo aver violato il tuo sistema informatico per rubarti informazioni riservate pongo in essere, per esempio attraverso un gruppo di Whatsapp, azioni di prevaricazione: messaggi, insulti, fotomontaggi e via dicendo.

Questa che è una vera e propria truffa spesso coinvolge persone fragili, come giovani con poche difese, o con problemi relazionali, e anche gli anziani.

Molto spesso le vittime sono donne.

Come correre ai ripari? Bloccando subito gli accessi ai propri dati personali e facendo denuncia.

E soprattutto imparando prima che sulla rete non bisogna mai condividere alcuna informazione che riguardi i nostri dati personali.