Il commento alla parola di domenica 27 marzo 2022 (IV domenica di Quaresima) a cura di Suor Maria Daniela del Monastero Cottolenghino  “Adoratrici del Prez.mo Sangue di Gesù”

In questa domenica “Laetare” siamo invitati a ritrovare l’abbraccio del migliore dei padri, Dio e a gioire della nostra figliolanza, dono del nostro battesimo, in cui nella realtà diveniamo partecipi dello stesso Spirito del Padre celeste.

Tutti sappiamo che la gioia più vera ci può venire solo da relazioni personali  in cui riusciamo ad amare e ad essere amati nella verità. Il cammino della nostra vita cristiana è una ricerca appassionata della maturità nell’amore, innanzitutto nel nostro rapporto con Dio.

La parabola ci racconta l’esperienza di una famiglia in cui i rapporti tra padre e figli sono compromessi. Il più giovane pretende che il padre gli dia in anticipo la sua parte di eredità, dichiarando così di avere a cuore solo ciò che il padre possiede. Poi si lancia nell’avventura del godimento sfrenato e senza scopo, impoverendo e sfigurando se stesso. Nella miseria avviene la svolta: rientra in se stesso, gli torna alla memoria la bontà del padre verso i suoi garzoni, che hanno di che nutrirsi. Ritorna verso casa spinto dal bisogno, ancora convinto di non contare niente per suo padre. Nella durezza del suo cuore non ha ancora capito quanto il padre lo ami, quanto egli sia rimasto per lui un figlio, “il” figlio amato, benché cieco. Il padre lo accoglie e lo fa rivestire del “vestito più bello”, nella versione letterale del “primo” vestito: è un simbolo meraviglioso di quanto Dio fa per noi, ciechi di fronte al suo amore immenso eppure sempre figli, i figli amati a cui egli restaura col suo perdono la prima indistruttibile dignità dell’essere creati a sua immagine e ricreati nel battesimo. 

Il figlio maggiore sembra essere più amorevole nei confronti del padre, ma si dimostra ben lontano dai suoi sentimenti, dalla sua generosità nel perdono e il suo discorso scade nell’ira, nella rivendicazione di qualcosa che gli sembra di non aver ricevuto. Possiamo cogliere nel suo atteggiamento, i tratti di quella mondanità spirituale che Papa Francesco ci invita ad abbandonare e che si esprime in una religione formale, senza “cuore”, senza vera passione per Dio e per gli altri.  La parabola non ci dice se, per le preghiere del padre, il figlio sia rientrato in casa ad accogliere suo fratello: qui vediamo un simbolo dell’invincibile amore del nostro Padre celeste che vuole vederci veramente fratelli, che è glorificato dal nostro amore reciproco e ci “prega” di accoglierci gli uni gli altri!

La parabola non parla della presenza di una madre in quella famiglia. Giovanni Paolo I aveva scandalizzato qualcuno affermando che “Dio è anche madre”, ma il pittore Rembrandt, in un suo famoso quadro, ha rappresentato una delle mani del padre misericordioso posate sul figlio pentito, con tratti femminili: questo è il nostro bene e la nostra ricchezza, l’abbraccio di un Padre che è Dio, che ci ha fatti suoi figli e ci ama con la tenerezza di una madre.

LETTURE: Gs 5,9-12; Sal 33; 2 Cor 15,17-21; Lc 15,1-3.11-32