Ieri il vescovo Marco Prastaro ha presentato il suo nuovo libro dal titolo “Dio dove sei finito Inquietudini e interrogativi su una Chiesa che diviene minoranza”. A dialogare con l’autore c’è stato Domenico Agasso, vaticanista del quotidiano “La Stampa”. Il libro (Ed San Paolo), ha la prefazione di monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino.

Pubblichiamo l’intervista al vescovo Marco uscita la scorsa settimana sulla Gazzetta d’Asti a cura di Marianna Natale

Un titolo forte, “Dio dove sei finito?”, seguito già nell’introduzione da un’affermazione altrettanto d’impatto: “Siamo entrati in un tempo nuovo per la fede e per la Chiesa in Occidente: è il tempo della fine della cristianità!”.

Il nuovo libro del vescovo di Asti, Marco Prastaro, è uscito in questi giorni per  San Paolo edizioni e già dalla copertina guida provocatoriamente alla lettura con l’intento di orientare, in un’epoca che sconvolge le certezze e il modo di vivere dei credenti.

Monsignore, è davvero finito il tempo della cristianità?

“È finito, certo. Ma non significa che sia finito il Cristianesimo. Sono due cose diverse. É finito il tempo in cui il pensiero cristiano era quello che colorava tutta la cultura in Occidente. Ma il Cristianesimo non è finito, è sempre valido. Ha ancora da dire cose molto significative a ogni uomo”.

E Dio dov’è finito?

“Dove è sempre stato in realtà: nelle pieghe della vita degli uomini, dove queste vite si svolgono, fino a dove gli uomini peccano. Dio è anche là, non si è mai spostato. Ciò che è cambiato è il contesto, la cultura e il modo in cui gli uomini intendono la vita e il loro rapporto con Dio”.

Qual è la tesi di fondo del libro?

“Il Cristianesimo, la fede cattolica in Europa è ormai una minoranza. È ben più che una sensazione, lo dicono le statistiche. Dobbiamo accettarlo, accettare che è cambiato il mondo e imparare a vivere come una minoranza. Siamo una voce in mezzo a tante, neanche la più ascoltata o la più gradita”.

Cosa significa per la nostra comunità vivere come minoranza?

“Significa che possiamo tornare a vivere la fede con più profondità, non più superficialmente”.

Scorrendo le pagine si ha la sensazione che lei abbia voluto raccogliere e ordinare qui pensieri e osservazioni che in questi anni in cui ha guidato la Diocesi di Asti ha disseminato nei suoi discorsi..

“È così. Ci sono tanti temi di cui si è parlato molto in questi anni. Il contesto è radicalmente mutato e facciamo fatica ad accettare questo cambiamento. Il primo vero ostacolo è la negazione del cambiamento, siamo negazionisiti. La situazione che viviamo oggi ci chiede di ripensare il nostro modo di testimoniare la fede e di essere chiesa. Il messaggio è sempre lo stesso, ma la modalità per esprimere questo messaggio deve cambiare e adeguarsi. Allora ho attinto alla mia esperienza presso altre realtà, in Kenya o quando ero direttore dell’Ufficio Missionario. Chiese giovani, che hanno adottato soluzioni e approcci differenti al problema, dimostrando che un nuovo modo è possibile. Ad esempio, io ho vissuto per tanti anni in mezzo a un popolo di pastori nomadi: il loro dramma era che non potevano più essere pastori nomadi come lo erano sempre stati… non funzionava più. C’era un altro clima, era arrivato il concetto di proprietà privata, i bambini  dovevano frequentare la scuola. Quindi hanno dovuto trovare un alltro modo per essere pastori nomadi. Insomma, si deve tutti cambiare, restando ciò che si è”.

Per chi ha scritto questo libro?

“L’ho scritto pensando alle persone che vengono nelle nostre chiese, non per i teologi o gli esperti, ma per le persone comuni a cui interessa la vita della Chiesa, che si rendono conto che sta succedendo qualcosa e che dunque serve una nuova chiave interprativa”.

 Quale pensa sia l’aspetto più originale?

“La cosa più originale che ci sia al mondo è sempre il Vangelo, sembrerà un paradosso. Il mio invito è quello di ritornare agli esordi dell’esperienza cristiana, a riscoprire la bellezza del Vangelo, a non perdere la speranza in un possibile mondo migliore”

Foto di Roberto Signorini