Quinta edizione di Parole d’Artista, 11 spettacoli tra novembre e fine maggio al teatro Alfieri, nove compagnie coinvolte. Quale sarà l’essenza di questa edizione? Quali le tematiche esplorate?
“Come di consueto concentreremo la nostra indagine in primo luogo sul lavoro dell’attore. Punta di diamante in questo senso sarà l’eccezionale presenza di Bruce Myers, uno degli attori più fedeli al progetto di ricerca di Peter Brook, che interpreterà una delle ultime creazioni del maestro inglese “The Grand Inquisitor”, tratto da uno dei capitoli de “I Fratelli Karamazov”.
Ma il segno caratterizzante della nostra stagione deriva anche dalla ricerca espressiva, in questo senso va la proposta di spettacoli di attori-autori come Fabrizio Gifuni, Vittorio Franceschi, Roberto Herlitzka, Elena Bucci insieme a registi-autori come Emma Dante e Giuseppe Bertolucci, attraverso un percorso che passa da Goldoni, dal Camillo Boito di “Senso”, per arrivare al Gadda soldato.
Altro importante focus sarà quello sull’omosessualità e l’Aids, che vorremmo trattare come facemmo in passato per la Mafia e la figura della testimone di giustizia Rita Atria, in collaborazione con Libera. Con un importante e pluripremiato spettacolo di Elio de Capitani e Ferdinando Bruni del Teatro dell’Elfo, “Angels in America” di Tony Kushner, vorremmo dedicare un’intera giornata di riflessione sulla tematica coinvolgendo le scuole”.
Lo spettacolo di lunedì 8 novembre, Molière / La scuola delle mogli, dopo Asti sarà ospitato sui principali palchi d’Italia ed è stato il suo “primo incontro” con Molière. Da regista, da attore, come ha trattato questa difficile farsa?
“Ci siamo misurati con il testo originale cercando di ricreare l’essenza della pièce non solo per gli occhi ma anche per l’orecchio, seguendo un intuito musicale. Ne è risultata una costruzione che, passando per il melodramma verdiano, arriva alla canzone e all’hip hop, trovando una misura espressiva in versi liberi che culminano in rime, assonanze e ritorni di suono, ma con una grande economia di sillabe; a volte screziandola con un francese maccheronico, eco della lingua artificiale dei comici italiani che dominavano i palcoscenici parigini del ‘600.
L’utopia è ritrovare, almeno in parte, la folgorante musica di Molière che nell’originale francese deflagra e scintilla per mezzo del verso alessandrino e delle rime e allo stesso tempo, nel melodramma-farsa, riuscire a evidenziare le zone di tragedia che si annidano nell’opera”.
Al Malosti regista una domanda anche sulla nuova produzione del Teatro di Dioniso: Fröken Julie / La Signorina Julie, per la prima volta in Italia nella sua forma integrale. A oltre cento anni di distanza questo atto unico mantiene la sua forza innovativa?
“Questa di Strindberg è un’opera feroce, cruda, intrisa di sofferenza e che subì la censura dal momento in cui venne alla luce. Solo nel 1984 uno studioso riuscì a distinguere le tracce dell’autore dalle correzioni apportate dall’editore. Con l’aiuto di consulenti linguistici abbiamo cercato di restituire il testo originale, anche grazie agli studi fatti su di esso da Peter Weiss (che ho scoperto avere una doppia lingua madre, perciò leggeva Strindberg in svedese) e Ingmar Bergman. In particolare sono stati riportati alla luce frammenti interessanti, come il crudo e visionario spunto della ferita al volto. Anche in questo caso ho cercato di restituire un affresco complesso, anche dal punto di vista della musicalità: Bergman considerava “La Signorina Julie” una vera e propria partitura, dal ritmo sorprendente. Basti pensare che nelle scuole di recitazione svedesi “La Signorina Julie” viene studiata per l’utilizzo anomalo e particolarmente espressivo della punteggiatura, che è quasi pirandelliano”.
Marianna Natale