Nel dibattito nazionale sulla giustizia italiana è tornato al centro un tema che divide da decenni magistrati, avvocati e politici: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Un principio che le Camere Penali italiane sostengono da sempre come condizione indispensabile per garantire l’effettiva imparzialità dei processi e la terzietà del giudice.
Dopo anni di discussioni e tentativi di riforma rimasti incompiuti, l’argomento è tornato di stretta attualità: il referendum popolare sul tema, promosso dall’Unione delle Camere Penali, dovrebbe svolgersi nella primavera del 2026, segnando un possibile punto di svolta per l’ordinamento giudiziario del nostro Paese.
Per capire meglio che cosa significhi concretamente “separare le carriere” e quali riflessi avrebbe sulla giustizia quotidiana, abbiamo intervistato l’avvocato Davide Gatti, presidente della Camera Penale di Asti, che lo scorso settembre ha ospitato per la prima volta nella storia cittadina il Consiglio nazionale dell’Unione Camere Penali.
Un’occasione che ha portato ad Asti decine di penalisti da tutta Italia e che è stata preceduta da un convegno pubblico dedicato proprio a questo tema. Con l’avvocato Gatti abbiamo parlato di principi costituzionali, di cultura della giustizia e del ruolo che ciascun cittadino può avere in una riforma di grande portata civile.
Perché, secondo voi penalisti, la separazione delle carriere è un passaggio indispensabile per una giustizia più equa?
“Risponderei con due argomenti principali. Il primo, è che la nostra Costituzione, all’articolo 111, pone al centro il principio del giusto processo e della terzietà del giudice. Il secondo è che solo un giudice realmente indipendente dal pubblico ministero può garantire al cittadino un processo giusto. Se chi accusa e chi giudica appartengono allo stesso percorso, non si interpreta correttamente il dettato costituzionale di cui all’articolo 111”.
Chi si oppone alla riforma teme che possa indebolire la magistratura o creare divisioni interne. Che cosa risponde a questa preoccupazione?
“Ritengo che questa preoccupazione sia infondata. La separazione delle carriere non significa mettere i magistrati ‘gli uni contro gli altri’, ma rafforzare la loro autonomia. Il nuovo assetto previsto, con la modifica dell’articolo 104, mantiene intatta la totale indipendenza della magistratura (sia quella requirente sia quella giudicante). È una riforma che tutela e non indebolisce”.
In che modo cambierà, nella pratica quotidiana, il lavoro di avvocati e magistrati se la riforma venisse approvata?
“Cambierà soprattutto la percezione del cittadino. Entrare in un’aula di tribunale e sapere che il giudice ha un percorso formativo e professionale completamente distinto da quello del pubblico ministero significa avere la certezza di trovarsi davanti a un giudice davvero ‘super partes’”.
L’intervista completa e altri approfondimenti sul tema sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 14 novembre 2025
Cristiana Luongo


