Il commento alla Parola di domenica 14 luglio 2019 (XV Domenica del tempo ordinario) a cura di padre Gerardo Bouzada.

Converti il tuo cuore

Amare Dio è percepire che ci accompagna nella vita, che è in grado di agire con misericordia nei più piccoli dettagli, e che ci spinge a lasciare che quell’amore passi attraverso i nostri cuori e sia portato nella pratica. Quindi è una relazione che parte da Dio, e che è diretta verso tutta l’umanità, è solo necessario renderla presente nella nostra vita. Al contrario, se identifichiamo Dio pensando che dobbiamo cercare cose che ci superano e che a malapena riusciamo a fare, questo ci porta a distorcere la nostra fede. Come quando le interpretazioni che vengono aggiunte a ciò che Dio vuole, ci portano a un vicolo cieco che non serve, e fa diventare la religione qualcosa di esclusivo per pochi. Dio ci insegna che si preoccupa dell’umanità e non vuole che noi formiamo un’élite religiosa inaccessibili agli altri, come accadeva ai tempi di Gesù, dove le persone semplici difficilmente potevano partecipare all’adorazione di Dio.
Perciò amare Dio è qualcosa che è disponibile a chiunque, purché venga fatto col cuore. Lasciarsi sedurre e trasformare dalla Parola di Dio è accogliere il suo messaggio, è guardare la realtà con occhi diversi, è convertire il cuore.

Cristo è il centro

Tutta la nostra vita cristiana ruota intorno a Cristo che è il motore e il capo del suo popolo, che siamo noi, che formiamo la Chiesa. La missione che intraprendiamo è fatta con e dal Cristo della Fede che ci illumina e consente a ciascuno di noi di svolgere la propria missione nella diversità. Quindi l’unità di cui facciamo parte non significa uniformità, poiché ognuno è stato chiamato da certe esperienze in un contesto di vita unico e irripetibile.

La misericordia come insegnamento

Gesù vuole mostrarci la grande misericordia che Dio cerca di trasmettere a tutta l’umanità. Questa parabola si sviluppa su una via, ma in questo caso Gesù non la rivolge ai discepoli, sebbene sia possibile che siano presenti. È un maestro della legge che chiede a Gesù chi è il mio prossimo. Gesù risponde rovesciando la domanda: Di chi devo farmi prossimo? Gesù ci racconta una storia in cui viene messo in discussione il ruolo svolto dalla religione ebraica. Attraverso i personaggi religiosi che intervengono nella narrazione, viene fatta una critica. Loro passano di fronte alla sofferenza umana, l’hanno visto, ma non si sono avvicinati. Loro sono esperti nel sacro, perché offrono culto nel tempio, ma tuttavia si mostrano a distanza dal dolore e guardano dall’altra parte, senza aiutare. Qualcosa di diverso accade con il Samaritano, ripudiato e considerato impuro, che è colui che apparentemente non adora Dio, ma è quello che si ferma e accoglie la sofferenza della strada. Il Samaritano vuole che l’uomo recuperi la sua vita, e l’aiuto non è limitato o puntuale, rimane fino a quando la situazione di necessità sarà finita. Gesù chiede che ci coinvolgiamo nelle situazioni di bisogno, mostrando la misericordia di Dio a coloro che soffrono. Quando ce da vivere la carità non esistono i “se” e i “ma”. Ma solo il “sempre”.

LETTURE: Dt 30, 10-14; Sal 18; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37