Presidio del coordinamento Asti Est, del collettivo ex mutua occupata e delle famiglie di via Allende, via Orfanotrofio e corso  Volta. Questa sera, alle 20, i manifestanti si ritroveranno in piazza San Secondo, sotto il Municipio, per chiedere di poter intervenire in consiglio comunale il cui ordine del giorno è la cittadinanza ai figli degli immigrati. “Mentre l’assessore ai servizi sociali dichiara ai giornali di essere a un passo dall’ottenere dal ministero della difesa l’uso sociale degli alloggi di via Allende, mentre il Movimento 5 Stelle cittadino, con l’apprezzamento e il sostegno del sindaco e dello  stesso assessore, fa una proposta che aprirebbe la via ad una soluzione del problema abitativo  in città; mentre la discussione di tale proposta promuove i costruttori (e il partito del mattone che li  accompagna) da responsabili di una ventennale attività immobiliare speculativa a protagonisti  di una ripresa economica e sociale; in città lo stillicidio degli sfratti continua e l’avvocatura dello stato ha fatto pervenire  alle famiglie  di via Allende l’atto di precetto con l’ingiunzione di lasciare entro 15 giorni  lo stabile che autogestiscono da più di tre anni – scrivono in una nota stampa -. Tutto ciò appare una inquietante commedia dell’assurdo a cui le famiglie e le associazioni  che le accompagnano dovrebbero fare da spettatori. Le famiglie e le associazioni invece sono qui a chiedere conto agli attori di questa commedia, non avendo alcuna intenzione di confermarne il tema (le virtù del mercato) e il gusto (di una  filantropia compassionevole). Se si vuol dare un minimo di credibilità a tutti questi discorsi sulla questione abitativa il primo provvedimento da prendere è una moratoria degli sfratti.  In secondo luogo si deve finalmente stabilire un rapporto positivo con chi in città ha già preso dei provvedimenti per sottrarre le famiglie agli imperativi del “mercato”, verosimilmente per sottrarre le famiglie ad un futuro di povertà e di morte della cittadinanza. L’esempio è quello di via orfanotrofio, dove undici famiglie e un collettivo di cittadini, hanno ricostruito legami sociali altrimenti dispersi (domiciliarità e forme di convivio che in città non esistono), hanno ripristinato un uso sociale di quell’edificio e con ciò ne hanno ricondotto la proprietà alle forme costituzionali (art.41), si sono assunti la responsabilità di autogestirlo come un “bene comune” (Rodotà e la “costituente itinerante dei beni comuni”). L’assessore e il sindaco, anziché associarsi a quelli che pensano, con una mossa “geniale”, di poter rimettere in moto la macchina del mercato cosicché tutto torni come prima, si assumano la responsabilità di rompere, con  requisizioni ed espropri, un assetto proprietario che ha espulso da se ogni cultura del diritto, ogni speranza di un futuro migliore”.