Capita, in una serata tipicamente autunnale, di ritrovarsi al Teatro Sociale di Alba, in compagnia di amici, alla serata finale della presentazione itinerante del libro “Impossible Langhe”  alla presenza un po’ ingombrante di Vittorio Sgarbi che si diverte a dileggiare gli autori e gli albesi.

“Impossible Langhe” è un romanzo turistico sulle Langhe, scritto da Pietro Giovannini e accompagnato dalle fotografie di Maurizio Beucci. Sono 700 pagine per catapultarsi tra i rossi più famosi al mondo, per imparare i segreti e l’amore per il bere bene, per il buon cibo e per la cultura di un territorio unico. La serata mi offre la possibilità di conoscere colui che ha illustrato l’opera con le sue fotografie minimaliste cariche di significati, Maurizio Beucci, torinese di nascita, milanese per necessità, ma che ha deciso di vivere a Castagnole Lanze, a cavallo tra Asti ed Alba, stregato da queste colline uniche.

Come nasce la sua passione per la fotografia?

“A dir la verità ho iniziato tardi, mio padre non era un appassionato. E’ avvenuto per caso: a 14 anni ho fotografato dei ragazzi in un torneo di calcio. Successivamente per 10 anni non ho più fatto nulla. Il mio sogno era quello di diventare un musicista, ho studiato il contrabbasso e l’armonia jazz con il maestro Mario Petracca. Poi un bel giorno ho avuto un incidente in una competizione judo, che mi ha procurato un problema alla schiena con conseguenze sulla possibilità di suonare e sorreggere un contrabbasso. Così ho ricominciato a fotografare immortalando i miei compagni di musica e fare foto ai concerti. Nel 2005 ho cominciato a lavorare in un’azienda di software per macchine fotografiche. Dal 2014 ho iniziato a collaborare con Leica, ero uno dei pochi giovani che la utilizzasse, ho iniziato a spiegare agli altri il funzionamento, ora sono il direttore della Leica Accademy in Italia. Adesso porto avanti i miei progetti fotografici che sono o lavori per libri o per mostre e mi occupo anche di ritratto. A Milano mi sono occupato anche di moda, non delle passerelle, ma ho collaborato con diversi brand come Sergio Rossi, Moschino e Ferragamo”.

A chi si ispira?

“I grandi fotografi che ho sempre apprezzato sono Luigi Ghirri per il pensiero, Guido Guidi per il suo sguardo disincantato, Willim Eggelston per il colore, Lee Friedlander per il suo impianto stilistico ed il pensiero. Amo tutta la storia della fotografia, mi piace meno la scuola umanista alla Cartier-Bresson. Sono attratto dal banale quotidiano, dall’ordinario, non occorre rendere accattivante la banalità”.

Ci parli delle foto di Langa…

“Per il libro me ne sono state commissionate nove o 10, alla fine sono 250. Agli editori sono piaciute talmente tanto che me le hanno inserite praticamente tutte, e non mi hanno assolutamente condizionato. Ho fotografato quello che mi ha colpito: il paesaggio Unesco è fortemente antropizzato, io ho fotografato delle situazioni, dei momenti, lasciando al pubblico il giudizio e l’interpretazione che non devono essere assolutamente. La Madonna incellofanata che ho ritratto è una tipica espressione della praticità “langhetta”, non è un’invenzione clericale, ma un modo per proteggerla dalla polvere e dagli ammaloramenti e, tolto il cellophane è pronta per essere esposta, anche in quel caso ognuno ci può vedere tante cose. Mi hanno incuriosito tante statue di Madonne di campagna, con le lucine lasciate lì dal Natale precedente per il solito pragmatismo oppure elementi ricorrenti: le auto di Langa, la Panda o le roulotte che vengono usate come “ciabot” per gli attrezzi, non servono per viaggiare ma sono statiche, come casette prefabbricate per “bogianen”. Abbiamo anche organizzato un tour promozionale del libro in Langa per creare quel “fil rouge” tra gli autori ed i protagonisti che sono gli abitanti stessi della zona, è sì una guida per turisti ma, innanzitutto, deve piacere ed intrigare coloro che ci vivono”.