Un libro dal nome significativo. Il primo scritto da Marco Prastaro, il nostro vescovo. Un libro che racconta i suoi 13 anni tra i Samburu, al Lodokejek, nel nord del Kenya. Una missione dove l’allora don Marco è arrivato giovane e dove è cambiato come sacerdote e come uomo.

Lo ha raccontato lui stesso mercoledì nel refettorio del Seminario al microfono di Brunella Mascarino, giornalista della sede Rai di Torino. 

Nella lingua locale per indicare Dio viene usato un sostantivo femminile “In una società maschilista Dio ha nome di donna – ha spiegato monsignor Prastaro che ha scelto per la sua prima opera edita da Emi anche perché “le donne mi hanno insegnato molto di Dio”.

E il suo è un racconto che parla di donne, di bambine, di giovani, di ragazze che il vescovo ha fatto partorire, di Juliette, la prima suora Samburu e di tante altre. Compreso “l’angelo”, una signora di cui don Marco non ricorda nulla e per questo chiama angelo, che gli ha fato cambiare punto di vista.

“Questo episodio risale ai primi anni della mia missione. Ero arrabbiato, chiedevo il perché di alcune cose che vedevo lì – ha raccontato -. Una donna un giorno mi disse: “Sei sciocco, non conosci nulla, vai in chiesa e fissa il Crocifisso”. E così feci. Per giorni guardai la croce di San Damiano e mi interrogai senza capire, poi capii. Dovevo cambiare punto di vista e capire Dio e cosa fa Dio. un Dio che dice il vostro dolore lo vivo sulla mia pelle”.

Poi i ricordi più belli, come la posa di una grossa croce per i 25 anni della missione: “Era il 2010 e in tantissimi parteciparono e collaborarono a quella posa. Un momento che ricorderò sempre”.

Tra i momenti più tristi il 2007 quando in Kenya ci furono delle elezioni e quando il Paese sfiorò una sorta  di guerra civile.

Nessuna nostalgia per il passato, per monsignor Prastaro, che ha chiuso il suo partecipato incontro leggendo un brano del suo libro, come auspicio per tutti: “Molte sere, rientrando a casa, spesso dopo una giornata faticosa, talvolta anche deludente, ammiravo la bellezza del paesaggio africano mentre scendeva il tramonto, quando i colori diventano più intensi. Quella bellezza mi pervadeva e mi dava speranza. Era la bellezza di Dio, della sua immensità, del suo silenzio, del suo intrecciarsi con la vita e con la morte degli uomini, del suo prometterci vita nuova. La promessa di un’alba dopo il tramonto”.