telethon“Come associazione impegnata nella difesa delle corretta informazione scientifica, vogliamo far notare alcune inesattezze sostenute da Paola Re nella sua lettera d’accusa contro Telethon. Paola Re ha scritto che “moltissimi” scienziati sono contro la sperimentazione animale. Secondo un sondaggio comparso sulla rivista Nature quel “moltissimi” è più o meno il 3% del totale dei ricercatori biomedici. Un ulteriore sondaggio, del PEW research center, aperto anche a scienziati di altri ambiti, rivela una percentuale di poco più alta, il 5%. Si direbbe che i “moltissimi” scienziati contrari alla ricerca su  animali siano tre su cento all’incirca. Noi non li definiremmo moltissimi, ma semmai pochi dissidenti. Qualche riga oltre, Paola Re si contraddice platealmente. Prima si lamenta del  fatto che dopo la sperimentazione su animali si debba sperimentare anche sull’uomo;  dopo si lamenta dell’esatto contrario, ovvero di presunti “disastri” creati dalla sperimentazione animale: com’è possibile che un farmaco che prima della vendita è stato sperimentato anche sull’uomo faccia poi “disastri” sull’uomo, e che tali disastri siano colpa della sperimentazione animale? Non ha senso;  se dopo le prove sull’uomo ci sono dei disastri, di sicuro non sono state le prove su animali a causarli. In realtà la ricerca su animali è semplicemente preliminare a quella sugli umani, e ne garantisce la sicurezza nelle prime fasi. Scrive ancora l’autrice che i laboratori in cui si fa sperimentazione animale sarebbero “invalicabili” e “coperti da segreto industriale”. Questo semplicemente non è vero; i risultati delle ricerche sono finalizzati alla pubblicazione su riviste specializzate, dunque basta leggere, o farsi leggere da un esperto, le suddette riviste per sapere che cosa si è fatto nei laboratori. Se invece si parla di trasformare i laboratori (che sono spesso sterili, contengono materiali chimici pericolosi, apparecchiature delicate e talora anche sostanze stupefacenti), in parchi divertimenti in cui si entra e si esce come lo si desidera, è chiaro che l’ipotesi non è plausibile. All’interno di questi laboratori c’è gente che svolge un lavoro molto difficile e delicato, sarebbe come pretendere che durante un’operazione a cervello aperto a vostra madre entrino in sala operatoria intere scolaresche in gita d’istruzione. Non è possibile. Se anche si facessero giornate apposite per i visitatori, a quel punto si direbbe invece che i ricercatori fanno vedere solo quello che vogliono, e dunque non si sarebbe ancora soddisfatti. La trasparenza è garantita dalla pubblicazione dei risultati e dai controlli delle istituzioni, non dalle scolaresche in visita; non può che essere in questo modo, esattamente come è nella sanità, o nell’esercito, o negli uffici pubblici. Infine, l’autrice cita il progetto Horizon 2020, che avrebbe stanziato 70 miliardi per lo sviluppo di metodi alternativi alla sperimentazione animale. Cominciamo col notare che, se bisogna stanziare denaro per cercare di inventare metodi alternativi alla sperimentazione animale, questo certifica l’ovvio: ora questi metodi alternativi non esistono, bisogna cercare di inventarli, e dunque gli animali per ora ci servono. Ma notiamo anche che i 70 miliardi del progetto Horizon 2020 non sono stati stanziati per quel tipo di ricerca, o almeno, non solo. Il progetto Horizon 2020 è un progetto per il finanziamento di tutta la ricerca e l’innovazione europee, e quei 70 miliardi vanno ripartiti equamente fra ben 19 aree di ricerca diverse, fra cui anche agricoltura, energia, scienze sociali. Ovviamente tutti ci auguriamo che lo sforzo continuo di tutti gli scienziati, che sono impegnati nel superare i modelli animali ogni volta che sia possibili, sia coronato da successi sempre più grandi. Tuttavia adesso domandare alla ricerca di fare completamente a meno degli animali significa chiederle di bloccarsi. E questo non è giusto nei confronti di chi, affetto da malattie incurabili, attende risposte proprio dal mondo della scienza”. Dott. Alberto Ferrari – Comitato Scientifico Pro-Test Italia.