aylan“La Commissione Comunale Pari Opportunità del Comune di Asti, desidera esprimere una propria riflessione in merito agli ultimi sviluppi in materia di immigrazione. A fine marzo  di quest’anno la fotografia della bimba siriana di circa tre anni che alza le manine sopra la testa davanti all’obiettivo del fotografo tentando, con un gesto adulto osservato chissà quante volte, la difesa da un uomo e da uno strumento che teme possano farle del male, ha sconvolto e commosso i lettori dei giornali che l’hanno pubblicata, ha fatto il giro sui social, ha collezionato innumerevoli “mi piace”, stimolato varie reazioni  ecc. ecc. e, di fatto, reso carta straccia convenzioni, leggi, trattati internazionali e quant’altro sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Potere evocativo delle immagini. Di quella bimba non conosciamo il destino, sfumata l’emozione del momento o dei giorni immediatamente successivi alla visione della sua immagine, non ci siamo più preoccupati di lei. Non  sappiamo se è ancora in Siria, se la sua famiglia ha tentato una fuga via mare o via terra, se è in Italia accolta in un centro in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato politico o se è su uno di quei treni che vengono assaltati da famiglie disperate a Budapest  con la speranza di raggiungere la Germania, l’Austria o comunque l’Europa. Non vediamo più i suoi occhi spaventati, non interroga più la nostra coscienza. Ma ecco che cinque mesi dopo un’ altra fotografia, triste ma prevedibile epilogo dell’immagine precedente,  arriva a scuoterci dall’indifferenza e dall’ipocrisia con cui viene  gestita, tollerata, contestata, rifiutata e sopportata l’accoglienza dei profughi. Calzoncini blu e maglietta rossa e la sabbia della spiaggia, un abbigliamento ed un contesto che per i nostri bambini non vogliono dire altro che estate, mare, vacanze, genitori, nonni … ma in questo caso non è così. Il piccolo siriano che indossa quegli indumenti giace morto su una spiaggia della Turchia, annegato insieme al fratello appena più grande ed alla madre nel tentativo di scappare dalla guerra. Ora siamo tutti commossi, il corpicino di un bambino non può lasciare indifferenti, ma fino a quando? Fino a quando non  giungerà la notizia che nella città, nel paese o nella frazione in cui abitiamo giungeranno dei profughi? Fino a quando la paura generalizzata dell’altro, dello straniero ci condizionerà a tal punto da farci asciugare le lacrime ed alzare barricate ideologiche per salvarci dall’invasione? Non sono razzista, però … è l’incipit di ogni risposta alla domanda “lei cosa ne pensa dei rifugiati?”. È su quel però che si gioca la partita della tolleranza, della capacità di accogliere ed accettare, di dare sostegno e protezione a chi cerca solo di sopravvivere. Un però che misura la distanza che intercorre dall’adesione formale a principi etici prima ancora che cristiani, purché agiti lontano da casa nostra,  alla capacità reale di sentire l’altro come un fratello o, almeno, come una persona che ha il diritto di provare a sopravvivere. Però… Però è anche vero che quando riusciamo a guardare l’altro con le difese abbassate quello che vediamo sono solo uomini, donne e bambini con storie, preoccupazioni, ansie a cui provare a dare risposte ma anche sorrisi, valori, sogni e speranze per sé, per la loro famiglia e per i loro figli che sono assolutamente sovrapponibili a quelle di chi li sta accogliendo. E allora? Le risposte politiche annunciate da molti premier dopo aver visto la fotografia del bimbo morto non devono essere considerate sufficienti e, soprattutto, non ci devono esonerare dalla responsabilità dell’omissione che spesso può fare più danni dell’azione. Penso che non possiamo più delegare ai vertici tutta la questione immigrazione, ognuno di noi deve fare la sua piccola parte, anche se appare infinitesimale. Su una spiaggia i bambini di tre anni, a settembre, devono poter vivere un ultimo scampolo di estate preparandosi ad affrontare al massimo solo il piccolo trauma della prima separazione dalla mamma per l’ingresso alla scuola materna… e questo deve valere per tutti i bambini di tre anni”. Per la Commissione Pari Opportunità Patrizia Maria Binello, vicepresidente