“La prima reazione è stata di incredulità e stupore. Ecco che torna il tema letterario del “doppio” mi sono detto. Con l’ex direttore amministrativo dell’atc ho condiviso spunti di analisi, questioni interpretative di una legge “scritta male e in fretta” (la L.R. 3/2010) e il tempo di lunghe e civili discussioni. Insomma mi pareva che avesse, con la competenza, anche l’orecchio ai toni critici e rivendicativi con cui gli ponevo a soluzione questo o quel problema. Certo non tutto filava liscio. Una volta, molto tempo fa, durante uno sgombero, gli ho dato del fascista, ma è stato un eccesso da parte mia. Quando ascoltavo il racconto dei colloqui che gli assegnatari avevano con lui, per concordare i cosiddetti “piani di rientro dalla morosità”, il mio giudizio volgeva al peggio. Da una parte l’assegnatario, indotto a fare una sorta di audit del proprio debito, le spese impreviste, il reddito precario, l’ultimo nato, l’acquisto incauto. Dall’altra un revisore dei conti e dei modi di vita, il giudice di norme e di presunte regole morali dell’Agenzia. Insomma, della serie “chi è povero è colpa sua”, con l’assegnatario dalla parte del colpevolizzato. Tutto il contrario, dovevo amaramente constatare, dei rapporti di autogestione che caratterizzavano un tempo le regole e l’attività dell’edilizia residenziale pubblica. Negli anni 70, i direttori, gli amministratori e gli assegnatari erano impegnati, tutti insieme, ad affermare il diritto all’abitare e dunque a dare il loro contributo per realizzare la promessa di uguaglianza scritta nell’art.3 della Costituzione. Un secolo fa, mi vien da dire. Oggi, non a caso in una situazione economica dell’Agenzia sull’orlo del fallimento, alcuni sindaci si sono accorti che qualcosa nei conti non tornava. Più precisamente, con l’intervento della magistratura, hanno scoperto una procedura ad personam, che trasferiva un tot al mese di soldi pubblici gestiti dall’Agenzia nelle tasche del direttore amministrativo. Meglio tardi che mai, ma nessuno ha colto la preoccupante “normalità” di quel che è accaduto; nemmeno i responsabili in ruoli elettivi all’interno dell’Agenzia, che si limitano a chiedere controlli più severi oppure dichiarano di non essersi accorti di nulla. La corruzione negli enti pubblici è un fenomeno ampiamente diffuso, confermato ogni anno dalla Corte dei Conti. Pare evidente che più viene caricato di moralismi e riflessi d’ordine, più si mostra inarrestabile. I funzionari in segreto conflitto o complicità con il loro “doppio”, frequentano con inquietante disinvoltura gli uffici della pubblica amministrazione. E guarda un po’ i valori di questo “doppio” sono l’opportunismo, il cinismo, e uno sviscerato amore di sé. Sono esattamente i valori della cultura che ha dominato la vita pubblica e privata per almeno trent’anni, quella cultura del mercato “senza se e senza ma”, dell’individualismo proprietario e della competizione, forgiata dal potere con tutti i mezzi (il debito, i media, le politiche securitarie, la rappresentanza). E’ l’affermarsi di questa cultura che ha spento in tutti gli enti pubblici le finalità sociali e i valori civili della solidarietà e della cooperazione, avuti in consegna dalla volontà dei costituenti, e dal quel testo, la Costituzione, la cui lettura oggi non ha alcuna eco nelle coscienze dei più e nella costituzione materiale del Paese. In questo percorso “decostituente” è stata rottamata anche la politica della casa popolare. L’abolizione della Gescal, dell’equo canone e le privatizzazioni hanno condotto all’esito presente. Una residualità della edilizia residenziale pubblica, le Agenzie ridotte a ibride immobiliari, il rapporto tra Agenzie e assegnatari privato di ogni consapevolezza del diritto all’abitare, le persone e le famiglie derubricate nella categoria dei “meno abbienti”, ridotte a destinatarie di provvedimenti elaborati nell’oscuro cielo della politica. Sono sicuro che è in questo contesto che nasce e si sviluppa la corruzione. Sono sicuro che solo gli assegnatari e i cittadini con bisogni abitativi insoddisfatti, organizzati e coscienti dei loro diritti, possono cambiare le cose. Nessuno di quelli che adesso invocano nuove regole e commissioni di inchiesta ha le carte per questo compito; sono troppo compromessi. Bisogna ritrovare le ragioni di dell’autogestione di un bene pubblico, di una lotta che vale la pena di fare perché rompe la solitudine e unisce la sorte di ciascuno alla sorte di tutti. Ci vogliono atti di ribellione e di passione civile. Gli obiettivi ci sono già e sono suggeriti dalle condizioni in cui versa l’edilizia residenziale pubblica: fermare la vendita degli immobili di proprietà pubblica, innalzare la soglia di accesso al fondo sociale, inserire in tutti gli organi di gestione delle Agenzie le associazione di cittadinanza attiva a cui fanno capo gli assegnatari e i cittadini in cerca di casa, imporre il prezzo calmierato per le forniture dell’acqua, chiedere la trasparenza di tutte le procedure di assegnazione e di gestione degli alloggi. C’è una prima occasione per rendere pubbliche queste richieste e imporle come materia di negoziato alla Regione Piemonte: la manifestazione regionale per il diritto alla casa, convocata dai movimenti per il 29 marzo a Torino. L’associazione di cui faccio parte, il Coordinamento Asti-Est è tra i soggetti sociali promotori”. Carlo Sottile, presidente Coordinamento Asti Est