“Siamo fermi ai prezzi di 30 anni fa, un vitello da macello vale 3 euro e 30 centesimi (al massimo 3,40) al chilogrammo”. E’ sconsolato Franco Serra, 45 anni, allevatore di Aramengo e dal maggio scorso presidente dell’Associazione Allevatori di Asti. Vorrebbe tanto fare qualcosa, per il suo lavoro e per i 350 allevatori con oltre 20mila capi che rappresenta, ma il problema è che forse la zootecnia dell’Astigiano si trova in una situazione paradossale: “Oggi allevare bovini di razza Piemontese – sottolinea Serra – non conviene quasi più, nonostante ci venga riconosciuto che produciamo la carne con la qualità migliore al mondo e con le più complete garanzie sanitarie del pianeta”.  Sulla qualità, frutto di un’attenta selezione e alimentazione degli animali, confermano i dati dietetici e gli apprezzamenti dei buongustai, sulle garanzie sanitarie vigilano proprio l’Apa e il sistema italiano che affida al Ministero della Sanità i controlli e non a quello dell’Agricoltura come accade in tutti gli altri paesi del mondo. E’ comprensibile quindi come il presidente dell’Apa sia piuttosto contrariato da questa congiuntura economica sfavorevole. Il fatto è che la scelta della qualità, in questo momento, sembra non pagare, o meglio, “il consumatore paga, eccome se paga – sottolinea il Vice di Serra, Domenico Viarengo, allevatore di Variglie – paga più la carne Piemontese che qualsiasi altra carne, siamo noi allevatori che non veniamo remunerati a sufficienza per coprire i costi di produzione”. Una filiera troppo condizionata dalla grande distribuzione relega la “Piemontese” al pari delle altre carni provenienti dell’estero che hanno qualità non controllata e sistemi di allevamento non certificati, quindi con costi inferiori, ma con maggiori margini per chi sta nel mezzo della filiera, cioè dopo l’allevatore e prima del consumatore. Sotto accusa ci sono soprattutto le lobby politiche del nord Europa che proprio la scorsa settimana hanno approvato al Parlamento Europeo l’abolizione dell’etichettatura facoltativa sulla qualità della carne, per altro supportata “scandalosamente” anche da otto europarlamentari italiani. E’ la stessa “compagnia di giro” che spinge per tornare ai mangimi animali che provocarono la Bse e fecero scoppiare lo scandalo “Mucca Pazza”. La situazione di estremo disagio per gli allevatori di bovini di Razza Piemontese, si è acuita per una serie di concause a cui all’origine ci sono gli aumenti dei costi del gasolio e dell’energia. “Con il gasolio agricolo schizzato oltre l’Euro – sottolinea Andrea Rabino, giovane allevatore di Villafranca d’Asti e presidente della sezione Razza Piemontese dell’Apa di Asti – sono aumentati i costi per produrre i cereali, quindi quelli dei mangimi e a ricaduta, e senza un particolare motivo, anche quelli delle sementi e dei concimi”. “Per il discorso della qualità – sottolinea Viarengo – noi allevatori di Piemontese produciamo, direttamente dai nostri campi, i cereali per i mangimi naturali per alimentare gli animali, ma a volte mi chiedo perchè lo faccio, sarebbe molto più conveniente acquistare mangimi industriali già pronti”.  In fine fra le cause della crisi, fa notare il presidente dell’Apa, anche “l’aumento dei costi degli affitti dei terreni causato da una maggiore richiesta di superficie per realizzare e far funzionare impianti a biomassa”. “Questi impianti potrebbero essere utili se dimensionati sui singoli allevamenti – spiega Serra – ma se troppo grandi servono solo per business che danneggiano l’agricoltura”. E’ sempre lo stesso discorso, chi può disporre di grandi capitali, può movimentare il mercato della carne, fare grandi impianti a biomassa e creare lobby. C’è poco da fare, ma con saggia prudenza contadina, per ora il presidente dell’Apa di Asti, grazie a una sinergia con le altre Apa regionali ha razionalizzato le spese dell’associazione e sta studiando un piano per ridurre i costi dei servizi offerti agli associati. Insomma, in questo periodo di crisi si fanno sacrifici, ma, nonostante tutto, la qualità non si tocca.