San Francesco di Sales, il santo protettore dei giornalisti e degli scrittori, spesso raffigurato con carta e penna in mano, inventò, a cavallo tra il 1500 e il 1600, un nuovo sistema veloce di propaganda fide.
Utilizzava dei foglietti, che lui stesso redigeva e distribuiva, dotati di un lessico semplice, chiaro e sintetico e quindi di facile presa e comprensione, con cui riuscì a catechizzare e fidelizzare una notevole quantità di gente di altri “credo” o addirittura pagana.  Per questo è considerato il precursore dei giornalisti che lo hanno eletto a buon titolo il loro patrono.
Questo tipo di rapporto con il giornalismo è vero, ma piuttosto formale e comunque un fatto di superficie. Possiamo però cercare motivazioni più profonde, inerenti all’etica della comunicazione, per lui espressione di un ideale di vita.
Credo che sia opportuno lasciar parlare lui stesso, che nella sua produzione letteraria lascia anche spazio a precise indicazioni deontologiche.
Non mi è stato difficile reperire queste indicazioni, anche se in un testo che nella nostra mentalità avremmo lasciato tranquillamente in disparte: Filotea. Introduzione alla vita devota.
Pubblicato nel gennaio 1609 e subito tradotto in tutte le lingue europee, prima traduzione italiana nel 1610, non è facile sapere quante edizioni ne siano state pubblicate, ma certamente più di 1300.
Il XXVII capitoletto titola: l’onestà nelle parole e il rispetto dovuto alle persone, decisamente in tema di giornalismo, anche se onestamente Francesco pensa piuttosto alle conversazioni.
Mi permetto di spigolare alcuni principi: “Se uno non pecca in parole è un uomo perfetto. Fa scrupolosamente attenzione a non lasciarti sfuggire alcuna parola sconveniente. Anche se non la dici con cattiva intenzione, coloro che la odono possono prenderla in tal senso”.
Le parole possono essere come un veleno. In particolare possono essere cattive in modo sottile: più una parola cattiva è sottile e più penetra nei nostri cuori.
Uno dei difetti peggiori è quello di essere beffardo: nessun vizio è così dannoso quanto il disprezzo e la derisione del prossimo.
“Non giudicare e non sarai giudicato”. Chi scrive è continuamente in occasione di giudicare (cap. XXVIII). Si insinua pure talvolta la convinzione di poter trinciare giudizi con tranquilla sicurezza.
È un impegno deontologico quello di guardarsi dai giudizi temerari: gli uomini non sono autorizzati a emettere giudizi gli uni sugli altri.
Certo un giornalista non si può esimere dall’esprimere giudizi, ma alcune precauzioni sono opportune: guardarsi dalla cattiveria e dalla acidità; evitare arroganza e presunzione; ricercare obiettività e distacco.
“Bevi più che puoi il sacro vino della carità: ti libererai da quegli umori perversi che ti fanno dare giudizi temerari”.
Francesco riesce anche a delineare un ideale che si potrebbe utilmente perseguire: “Se si riuscisse a togliere la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. La maldicenza è un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, la vita corporale, la vita civile. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la seconda, la maldicenza ci priva della terza.
Lo strumento per evitare queste possibili derive si chiama prudenza: più di tutto è necessario che io sia ponderato ed esatto nelle parole, per non dirne una di troppo… Devo saper conservare la misura per non gonfiare la cosa nemmeno di un soffio. Se c’è soltanto un sospetto, dirò soltanto quello; se si tratta di sola imprudenza, non dirò di più; se non c’è né imprudenza né sospetto di male, non dirò niente del tutto o dirò soltanto quello che è”.
Nel cap. XXX Francesco traccia una descrizione conclusiva circa la correttezza nel parlare delle persone. Nelle intenzioni dell’autore erano indicazioni di tipo comportamentale.
Nel nostro caso è la definizione della correttezza giornalistica: “Il tuo modo di parlare sia pacato, schietto, sincero, senza fronzoli, sincero e veritiero. Tieniti lontano dalla doppiezza, dall’astuzia e dalle finzioni. È vero che non tutte le verità devono sempre essere dette, ma per nessun motivo è lecito andare contro la verità.
Abituati a non mentire coscientemente, né per scusa né per altro. Se hai mentito inavvertitamente e puoi rimediare spiegando e correggendo, fallo subito: le scuse sincere hanno più delicatezza e più forza convincente per scusarci di qualche menzogna”.
Patrono dei giornalisti, ma certamente molto esigente, potrebbe fornire la premessa per una convivenza civile più serena.
Sempre sperando che i vostri editori non reagiscano con un licenziamento in tronco.

 

Mons. Francesco Ravinale, vescovo di Asti