Il pubblico ministero Paone parla in aula: ma ad ascoltarlo ci sono gli studenti“Vi ho un po’ stordito? Se avete dubbi sono qui per rispondere”. Affabile e professionale, il pubblico ministero Vincenzo Paone ha parlato, nei giorni scorsi, in un’aula del tribunale modificando, per una volta, il programma della sua agenda quotidiana: non un processo, ma una conversazione, non una requisitoria ma una lunga spiegazione sulla giustizia riservata a una classe del Liceo statale Monti. Per un giorno, tra i banchi fiancheggiati dalla grande gabbia riservata ai detenuti pericolosi, non avvocati e imputati, ma gli studenti della 5B del Socio-psico-pedagogico coinvolti da “Scuola a colori”. Il progetto, promosso dal Monti e sostenuto dalle Fondazione CRAT e CRT, è finalizzato a comprendere la contemporaneità  (a marzo si è parlato delle strategie del marketing con il presidente Confesercenti Mauro Ardissone) e a incrementare la fiducia nelle istituzioni, studiandole direttamente (visite al carcere delle Vallette di Torino, all’ex ospedale psichiatrico di Trieste, ecc.). Nei giorni scorsi l’incontro dei ragazzi con il sostituto procuratore della Repubblica Paone, anche per approfondire le nozioni di Diritto apprese nel corso di studi. Il magistrato ha prima fatto una descrizione delle varie figure (giudice, pubblico ministero, avvocati difensori e di parte civile, testimoni, imputati, ecc.) chiamate in aula e poi ha illustrato i meccanismi che regolano un processo, fino alla sentenza e alle misure alternative alla detenzione in carcere. La lunga spiegazione, arricchita da riferimenti a vari articoli della Costituzione e del codice penale, è stata intervallata da commenti e osservazioni del magistrato collegati alla sua lunga esperienza di pubblico ministero e all’attuale funzionamento della giustizia. Le domande degli studenti hanno chiamato Paone ad approfondire alcune questioni: la dichiarazione dell’incapacità di intendere e di volere dell’imputato, come si scrive una requisitoria, il processo in contumacia e il legittimo impedimento. E quella scritta alle spalle della corte (“La legge è uguale per tutti”) trova sempre riscontro nella realtà? “Lei consiglierebbe a questi ragazzi di fare il magistrato?”, la domanda dell’insegnante. “Perché no – la risposta del pubblico ministero – però bisogna studiare. Questa è una professione che ha ancora un senso, al di là dello stipendio, se la si fa ritenendo di dare un contributo per la crescita della società”. Poi il trasferimento in un’altra aula del tribunale per assistere alla lettura della sentenza con la condanna di un giovane detenuto per essere evaso dagli arresti domiciliari. Un ragazzo di poco più grande degli studenti perché anche le opportunità di vita, come la legge, possono non sempre essere uguali per tutti.