lavoro femminile“Forse pressati dalla mole ed intensità delle proteste più recenti, i consiglieri hanno deciso di approvare alcuni ordini del giorno dell’opposizione, tra cui due del MoVimento 5 Stelle, su temi del lavoro e del welfare.
 
Il primo, datato 2011, a titolo “Impegno contro le discriminazioni e i licenziamenti delle donne in gravidanza”, impegna la Giunta ad aumentare le risorse per asili nido pubblici e nidi familiari (riconoscendo quanto già fatto recentemente per i nidi familiari), fondamentali per una migliore conciliazione famiglia-lavoro; ad aiutare, con investimenti ad hoc, le Consigliere di Parità (regionale e provinciali); ad aumentare il loro impegno di monitoraggio e di tutela nei confronti delle donne licenziate in caso di gravidanza e di tutte/i coloro che subiscono discriminazioni sul lavoro; a richiedere alla Commissione Regionale per la realizzazione delle Pari Opportunità tra uomo e donna di realizzare un progetto contro le ingiustizie nel mercato del lavoro piemontese e per una maggiore condivisione dei lavori di cura all’interno delle coppie, con l’invito di chiedere una collaborazione ampia agli altri organismi di parità piemontesi (Consulta delle Elette e Consulta Femminile).
 
Il secondo odg, scritto all’uopo, “Impegno della Regione Piemonte nella difficile situazione di crisi economica ed occupazionale“, impegnava la Giunta all’integrazione delle banche dati dei CPI/APL, a fornire dati di follow up occupazionali post-formativi, a delineare il quadro dell’integrazione tra CIG e ASPI, infine, a sollecitare il Governo all’introduzione ed erogazione di una misura a sostegno del reddito e ammortizzatore sociale, tipo salario/reddito minimo garantito. Detto impegno è stato trasformato, pena il parere negativo, per via di veti incrociati all’interno della maggioranza, in un farraginoso “sostegno al reddito e alle condizioni di vita universalistico, insieme a strumenti per una rapida ricollocazione lavorativa”.
 
Strano che nello stesso momento in cui veniva approvato in Senato un ordine del giorno che metteva le basi per l’introduzione del “reddito di cittadinanza” in Italia, il nostro Consiglio doveva cancellare dall’impegno quella parola. Sarà che, con un Presidente che dichiara che con 6900 € netti al mese più rimborsi di ogni tipo non riesce a vivere, forse non hanno ben chiara la reale situazione del Paese? 
 
L’importante è comunque il messaggio: anche nelle segrete stanze dei Palazzi torinesi soffia finalmente il vento del “reddito minimo garantito”, sostegno chiesto ormai a più riprese dall’Europa ad un’Italia che rimane perennemente indietro nella tutela dei propri cittadini. Speriamo che ora il dibattito a Roma si apra quanto prima”.
 

Davide Bono Consigliere regionale MoVimento 5 Stelle Piemonte