gianluca ghiselliChissà quanti di voi hanno seguito con il fiato sospeso gli oltre trecento episodi della celebre serie televisiva “E.R. – Medici in prima linea”, ispirata ai casi vissuti nell’emergency room (pronto soccorso in italiano) del policlinico universitario di Chicago. Dal set cinematografico alla realtà il passo non è sempre così breve e lontano da riflettori e protocolli di recitazione, ogni giorno anche ad Asti abbiamo un equipe di medici, infermieri e volontari che offrono la prima assistenza – quella vera – a centinaia di pazienti: è il personale di pronto soccorso del Cardinal Massaia di Asti diretto dal primario Gianluca Ghiselli al quale abbiamo voluto rivolgere alcune domande. Ghiselli si è laureato all’università di Pisa ed ha affinato le sue conoscenze dapprima negli Stati Uniti, a Boston dove ha studiato medicina d’urgenza, per poi tornare nella nostra regione nel 1997 prestando servizio per circa un anno e mezzo al “San Giovanni Bosco” di Torino e poi ricoprendo per un decennio la figura di responsabile del 118 al CTO sempre del capoluogo regionale. Dal 2009 è primario del pronto soccorso astigiano. L’affollamento del P.S. è spesso utilizzato come cartina di tornasole dell’emergenza sanitaria, generata dalla mancanza di personale e un progressivo depauperamento dei finanziamenti. Vero, ma non solo: Ghiselli riconosce che, ad Asti, anche se gli organici di medici ed infermieri del Pronto Soccorso non sono occupati al 100%, “non ci si possa lamentare rispetto ad altre realtà piemontesi”. I sette infermieri di turno (che diventano sei nella notte) garantiscono una risposta efficace e la dilatazione dei tempi d’attesa, lamentata a volte dai cittadini, ha origini molteplici. “Per quanto riguarda il problema del sovraffollamento in Pronto Soccorso, si potrebbe immaginare il Pronto come un casello autostradale: certamente nessun primario rinuncerebbe all’aggiunta di personale in organico ma – spiega Ghiselli – non è tanto il numero di “casellanti” che incide sulla velocità di transito dopo l’accesso, piuttosto occorre lavorare sui percorsi interni degli ospedali e sulle dimissioni, oltre che sul monitoraggio e il controllo degli accessi impropri”. E’ qui che interviene l’aspetto culturale; il pronto soccorso risponde alle necessità dei pazienti acuti e i passaggi sono scanditi dalla gravità del quadro clinico, classificati attraverso vari colori che vanno dal bianco (nessuna urgenza), verde (urgenza minore), giallo (urgenza), rosso (emergenza). I codici “bianchi” così come alcune patologie croniche non riacutizzate potrebbero trovare risposte alternative al Pronto Soccorso. Per ovviare a queste difficoltà Ghiselli concorda – e non è il solo – sulla sperimentazione di forme di assistenza domiciliare come l’infermiere di famiglia, figura professionale che offre a domicilio le prestazioni solitamente svolte in ambito ospedaliero. Questo risponde non solo alla carenza di posti letto ma anche a una migliore condizione di vita dei pazienti, specie quelli più anziani. “Il numero delle persone anziane è in costante aumento – spiega il primario – e oggi abbiamo in cura, grazie ai progressi della medicina, soggetti che fino a 15 anni fa non avremmo mai avuto e la provincia di Asti è una delle più longeve in Italia”. Questi malati spesso mal recepiscono il ricovero: “Si sentono disorientati fuori dalle loro mura domestiche, vivono di equilibri molto complessi che non possiamo ignorare” e per questo il trattamento in ambiente casalingo, in alcune situazioni, potrebbe essere la migliore risposta. Dei circa 150/200 accessi che ogni giorno vengono trattati dal Pronto Soccorso, un 13% si materializza in ricovero ospedaliero; il nosocomio di Nizza garantisce un supporto di 30 posti letto ma non di rado i pazienti preferiscono restare anche quattro giorni in barella, in Asti, piuttosto che essere trasferiti ed incorrere in ulteriori problemi di scomodità. Un aiuto per evitare gli accessi impropri può giungere anche dai medici di famiglia, con i quali da oltre tre anni si è infittito il rapporto grazie alla comunicazione (via e-mail) del verbale registrato in Pronto e che fornisce una radiografia ben dettagliata delle patologie riscontrare sul paziente d’appartenenza. Ghiselli non parla esplicitamente delle Case della Salute ma vede di buon grado la collaborazione di professionisti in un unico ambiente: “Valorizzerebbe i servizi territoriali e i parenti avrebbero la certezza di poter trovare un ausilio medico per tutta la giornata lavorativa”. Per realizzare questi progetti ci vuole, però, “una comunione d’intenti che dia continuità ai progetti e non tenga conto dell’alternanza dei governi regionali”. Ghiselli sorride amaro quando sente parlare di “emergenza” in Pronto: “Le curve di accessi sono ampiamente prevedibili: sappiamo che da metà dicembre fino a marzo si registra un picco dovuto all’influenza e che, dopo una flessione nel periodo primaverile, avviene un nuovo aumento durante l’estate principalmente per problemi cardio respiratori”. Da qui il collegamento con il pensiero precedente: per evitare l’ingolfamento basterebbe aggiungere dei filtri che scremino preventivamente gli accessi, così come misure aziendali per snellire il flusso dei pazienti in tutto il percorso ospedaliero. Su questo ultimo argomento la ASL di Asti ha in corso dal settembre 2014 una sperimentazione per la gestione coordinata dei posti letto, con grande impegno della Direzione Sanitaria e di tutti i reparti ospedalieri. “Uscire dalla violenza è possibile” è lo slogan del progetto portato avanti dal 2009 dall’Asl in collaborazione con la Questura di Asti e la Procura della Repubblica che si rivolge a tutti coloro che subiscono maltrattamenti o violenza domestica. Sul sito dell’azienda ospedaliera astigiana è presente un contatore che aggiorna il numero di accessi in Pronto Soccorso per questo particolare tipo di circostanze: sono stati 106 nel corso del 2014 mentre nel nuovo anno se ne contano già cinque (una donna, tre uomini e un minore). Ghiselli è particolarmente orgoglioso del servizio: “L’Asl dal 2009 ha intrapreso un percorso virtuoso per combattere la violenza sessuale domestica e tutti possono contribuire aderendo al progetto “Il salvadanaio della solidarietà”, raccolta fondi per assicurare al paziente che si rivolge alla nostra struttura i bisogni di prima necessità”. I degenti (specialmente donne con figli a carico in minore età) sono ospitati nel “letto segreto”, una stanza interna al Cardinal Massaia che garantisce l’incolumità della vittima. Altro progetto di rilievo per il Pronto Soccorso del Cardinal Massaia è quello dei Volontari di Pronto Soccorso. “Abbiamo un gruppo di venti persone che ogni giorno si spende con grandissimo impegno in un ambiente assai difficile, il loro comportamento è encomiabile e non smetterò mai di ringraziarli”. Figure irrinunciabili che potrebbero accompagnare anche i pazienti oncologici verso il fine-vita ma Asti, pecora nera del Nord Italia, non ha l’hospice: “Sarebbe assolutamente necessario offrire un ambiente adatto ai pazienti che escono dalla cura ed intraprendono la palliazione ma voglio anche fare una precisazione tra due termini che spesso vengono erroneamente considerati sinonimi: cura e guarigione. Molte neoplasie si curano ma non guariscono, non c’è la progressione della malattia ma la neoplasia è presente. La confusione su questi aspetti genera false aspettative ed è responsabilità medica chiarire questi concetti, anche se emotivamente sono molto impattanti”.   Fabio Ruffinengo