La stagione di prosa del Teatro Alfieri continua passando da un successo all’altro, e domani sera alle 21 il protagonista sarà Giuseppe Cederna con uno spettacolo tratto dall’omonimo libro di Daniel Pennac “Storia di un corpo”, con la regia di Giorgio Gallione.

Originale e poetico diario che un padre consegna alla figlia, racconto di una vita a partire da ciò che il corpo – oggi così frainteso, spesso preso in considerazione solo quando malato, inefficiente – gli ha fatto scoprire di sé e del mondo.

Abbiamo la possibilità di incontrare direttamente lo stesso Giuseppe Cederna che, con grande disponibilità ed entusiasmo, ci rivela la sua gioia di salire sul palcoscenico.

Ci parli dello spettacolo che porterà in scena domani sera ad Asti “Storia di un corpo”.

“Senza alcun dubbio si tratta dell’opera più divertente e più completa che ho recitato da tanti anni a questa parte: sembra sia stato scritto per me. Racconto la vita di un uomo da quando ha 12 anni sino alla morte da ultraottuagenario. E’ un diario non sentimentale ma fisico: è la registrazione, in sostanza, dei cambiamenti del corpo, delle sue reazioni alla vita nel corso degli anni. La prima parte è più divertente, anche se non mancano gli intoppi, come quando il ragazzino viene legato a un albero e lasciato tremante di paura dai compagni scout: un trauma per lui che se la fa sotto, venendo deriso da tutti. Non è una passeggiata neppure l’accettazione del proprio corpo, per non parlare dei primi flop sessuali. Il corpo diventa un meraviglioso contenitore di storie e racconti che in palcoscenico acquistano ancora più forza, senso e universalità creando una specie di osmosi con il pubblico in sala”.

Come reagisce il pubblico a tutti questi mutamenti?

“L’uomo difficilmente parla del suo corpo, le donne invece lo fanno liberamente, anche le più anziane, accettano le loro debolezze, ci ridono anche su, anche per cose imbarazzanti e dirette.

Credo comunque che la “lezione” offerta da questo spettacolo sia proprio la capacità di riconoscerci, tutti insieme, attraverso il nostro corpo, il suo mutamento, le sue reazioni: per dire, quando ci si innamora e ci si abbandona all’intimità, quando si concepisce un figlio ma anche quando si invecchia. Anche il linguaggio cambia: è prima più acerbo, semplice, poi via via più complesso, letterario, analitico, a tratti buffo, a volte impietoso, sempre un po’ spudorato, senza censure. A momenti si ride, soprattutto nel periodo dell’adolescenza caratterizzata dalla scoperta, travolgente, della sessualità; in altri incuriosisce, in altri ancora si riflette sulla caducità del fisico: la descrizione del corpo vecchio, rovinato, consumato è realistica fino alla crudeltà. Voglio sottolineare la bravura del regista Giorgio Gallione per l’adattamento teatrale molto scrupoloso e perfetto per la mia interpretazione: è un grande conoscitore delle opere di Pennac. Anche la scenografia di Marcello Chiarenza è studiata nei minimi particolari e si sposa perfettamente alla trama”.

Lei è un’artista poliedrico. Attualmente dove si trova di più a suo agio tra cinema e teatro?

“In questi ultimi tempi ho frequentato parecchio i palcoscenici, mi erano mancati ai tempi del covid, il contatto col pubblico è fondamentale. Durante gli spostamenti cerco di scrivere, ma mi mancano gli spazi per restare solo e per poterlo fare. Li ritrovo durante i viaggi all’estero: mi pace andare in Grecia, spesso sull’isola di “Mediterraneo”, dove cammino tantissimo e la mia creatività si accende”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 13 gennaio 2023

Massimo Allario