“Dall’inizio della primavera araba sono passati tre anni ma sembrano trenta. L’interesse internazionale è via via scemato e adesso è subentrata la paura”. Così Francesca Paci, corrispondente del quotidiano La Stampa, ha iniziato il suo intervento domenica a Passepartout. La primavera araba ha avuto tra i suoi attori principali Twitter, Facebook, Youtube, gli strumenti comunicativi attraverso cui le nuove generazioni di egiziani, tunisini, libici, yemeniti, turchi, siriani sono entrate in contatto con la politica, fino a quel momento considerata inaccessibile, e hanno osato sfidarla. Internet si è rivelata dunque un potente megafono per gli attivisti, ma alla prova del tempo c’è da dire che anche i dittatori hanno imparato a usare questo strumento. “Ci sono primavere e primavere, blogger e blogger: chi ci dice quale sia la reale audience dei new media arabi? Farebbe sensibilmente la differenza sapere se si tratta di lettori globali o locali – ha detto Paci -. Di fatto i nuovi media sono stati utili per catalizzare le grandi masse ma non hanno inciso sui risultati elettorali. Io sono ottimista. Credo si sia messo in moto un meccanismo che non permetterà di tornare indietro, anche se ci vorranno anni, come è stato per la Rivoluzione francese, ma anche per il Regno Unito, per gli Usa, per le rivoluzioni di velluto”.