Il commento alla Parola di domenica 6 ottobre 2019 (XXVII Domenica del Tempo Ordinario) a cura di padre Gerardo Bouzada.

Sicuramente abbiamo spesso affrontato la situazione che il profeta Abacuc sta attraversando. Ci guardiamo intorno e vediamo solo ingiustizie, disuguaglianze, il male prevale sul bene. Nel frattempo, coloro che cercano di vivere con giustizia trattano bene coloro che li circondano e si sentono onesti nella propria vita ricevono solo batoste. Quindi ci alziamo e afferriamo la testa in un gesto di impotenza, gridiamo, nel caso in cui qualcuno ci ascolti: “Per quanto tempo griderò, Signore, senza che tu mi ascolti?”.
Ma il profeta riceve una risposta da Yahweh, il suo Dio. “Tranquillo. La soluzione arriverà. Sta preparandosi”. E conferma: “L’ingiusto ha un’anima gonfia, ma i giusti vivranno secondo la loro fede”. E Yahweh chiede di scriverlo in modo che sia noto per sempre perché le sue promesse si compiono. La questione dell’ingiustizia e del male è comune agli esseri umani ed è vecchia come la vita. Chiedersi, quindi, è lecito. Ciò che non è sempre chiaro è da dove verrà la risposta e quale sarà la sua natura. A volte, noi credenti gridiamo a Dio non perché ci risponda ma perché ci risolva i nostri problemi. Ma non è Dio che agirà per noi. La sua mano è pronta a schierarsi dalla nostra parte, ma solo se ricordiamo che il nostro compito non può essere svolto da nessun altro.
“Se tu avessi fede come un grano di senape…”. Non è Gesù che risolve le nostre vite. Siamo noi che siamo chiamati a trasformare la realtà, a lavorare contro le ingiustizie, a cambiare l’orizzonte con i nostri sforzi. Con il supporto di Dio, con la sua Luce, con la sua forza e in comunità ma senza dimenticare che il compito è nostro.

Ravviva il dono di Dio

Nella lettera a Timoteo, Paolo parla come un padre o un amico, che ha imparato che si ottiene molto di più con una motivazione positiva che con una punizione. Ed è per questo che ci ricorda cosa dobbiamo fare per poter continuare su questo cammino di fede che, a volte, è in salita quando siamo coinvolti in difficoltà, ingiustizie e problemi.
I verbi usati nella lettera sono: ravviva, non vergognarti, prendi parte, vivi con fede e amore, conserva. Sono tutti verbi che richiedono un’azione, un non aspettare passivamente la salvezza ma lavorare per essa. “Non vergognarti di testimonire…”, anche se ci saranno momenti in cui sentiremmo vergogna. Senza dimenticare che abbiamo ricevuto uno spirito che ci comanda fortemente: “Perché Dio non ci ha dato uno spirito codardo, ma uno spirito di energia, amore e buon senso”. E infine, Paolo lascia il suo ultimo desiderio come un padre che sembra dire addio: “Conserva questo prezioso deposito con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi”.
La fede è un dono prezioso di Dio. La fede ci dona una concezione del mondo giusta, ci mostra uno scopo nella vita, ci conforta nei momenti difficili, rallegra il nostro cuore, dona forza alla nostra preghiera e ci apre ad accogliere le infinite misericordie di Dio.
Come è la mia fede, forte, matura, luminosa o debole, spenta e infantile? Con che cosa alimento la mia fede? Trasmetto la mia fede con coraggio?

LETTURE: Ab 1,2-3; 2, 2-4; Sal 94; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17, 5-10