Le Acli di Asti fanno proprie le riflessioni delle Acli nazionali sul Primo Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori.

Le Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), compiono quest’anno 80 anni e celebrano il Primo Maggio, a fianco di CGIL, CISL e UIL, invocando la Pace e pensando innanzitutto a chi sta peggio e, tra questi, in particolare alle vittime della sempre più diffusa guerra globale a pezzi, a tante persone e famiglie che fuggono da conflitti, dittature e miseria.

Il lavoro spesso non dà più abbastanza per vivere né a chi lavora (soprattutto a giovani e donne, ma non solo) né al Paese. Manca una visione di Paese e anche sul PNRR non si vedono progressi. Per le persone e le famiglie “occupazione”, in molti casi fatta di part-time involontari e forme irregolari, significa sempre meno quell’esistenza libera e dignitosa che la Costituzione (art. 36) chiede di assicurare loro e la ricchezza che il lavoro produce è sempre più iniquamente distribuita a favore della speculazione e di vertiginosi extraprofitti di pochissimi.

Cresce il lavoro povero o a rischio povertà (quasi 1 donna su 2 sotto i 35 anni) e in trent’anni i salari sono scesi, unico caso in Europa, dove altrove sono saliti almeno del 30%, con un’ulteriore riduzione del 7% dopo la pandemia (Ocse). Insieme all’assenza di welfare sociale (nidi, politiche per gli anziani, le famiglie, le persone con disabilità …) si è giunti a una bassa occupazione femminile e, irrimediabilmente, al declino demografico. Siamo in un circolo vizioso dove l’impoverirsi del lavoro alimenta e subisce a sua volta l’impoverimento dell’economia, del welfare e il declino demografico (con un calo previsto, in 6 anni, di 1 milione di persone in età da lavoro).

Eppure, molte aziende hanno investito in una logica diversa, valorizzando la partecipazione dei lavoratori e puntando all’idea che Lavoro migliore=Paese migliore.

Invertiamo la rotta guardando ad alcuni problemi di fondo:

  • l’impoverimento del lavoro e le disparità nel lavoroanche per la crescita del sommerso (46% dei NEET in realtà dichiarano di essere economicamente autonomi – vd. ricerca IREF per il Consiglio Nazionale Giovani – );
  • la bassa occupabilità che cresce con le trasformazioni del lavoro, specialmente guardando alle fasce più deboli e alle conseguenti necessità formative di quasi 10 milioni di lavoratori sopra i 50 anni;
  • l’irreversibile calo demografico e la crescente difficoltà a trovare lavoratori;
  • la deindustrailizzazione del Paese.