Una serata epica. Così si potrebbe definire l’assemblea pubblica indetta dal sindaco Luca Panetta a San Paolo Solbrito venerdì scorso per discutere della decisione improvvisa del vescovo di Asti di trasferire il parroco don Luigino Trinchero nelle parrocchie di Castiglione, Migliandolo, Portacomaro Stazione e Caniglie all’interno della ridda di spostamenti che hanno interessato almeno un terzo della diocesi di Asti. Epica perché ha messo in luce il grande attaccamento che la popolazione ha dimostrato verso il proprio territorio e il suo futuro e verso la figura del parroco don Luigino, celebrato da tutti come padre spirituale e indispensabile per la vita del territorio. Effettivamente la platea era molto variegata: un bel gruppo di giovani, gente di provenienza parrocchiale come il coro, i catechisti e gente di altra provenienza, animati da un tavolo di consiglieri con al centro il sindaco, affiancato dal vice Silvio Demarie, da Riccardo Azoaglio e da altri, seriamente preoccupati per quello che succederà da settembre in poi. Il sindaco è stato il mattatore della serata, sia perché ha mostrato il suo impegno per mettere in discussione quello che secondo lui (e secondo molti) è un fulmine a ciel sereno, sia per impersonare il disorientamento in cui la popolazione è caduta. I toni erano quelli della rivoluzione francese, quando il terzo stato si riunì nel 1789 nella sala dalla pallacorda per giurare di restare uniti contro nobiltà e clero in nome della giustizia e dell’amore per il proprio stato. Anche qui l’esito finale è stato rivoluzionario: un sit-in votato a stragrande maggioranza per il 17 luglio di fronte al vescovado contro il novello Luigi XVI, vescovo Prastaro, colpevole di non aver ascoltato le legittime istanze della gente e di aver usato toni e metodi più da amministratore aziendale della ex Fiat che da pastore e custode delle anime. Probabilmente c’è del vero, perché anche tra le persone più moderate faceva specie la rapidità e la decisione con cui sono stati decisi i numerosi spostamenti. Però a chi è un po’ più dentro la realtà della Chiesa diocesana (e non solo) sembrava di essere tornati indietro di 50 anni.

Per un verso gli argomenti erano inoppugnabili e non solo di convenienza sociale. E’ vero che ci sono timori per il futuro dell’oratorio, della scuola d’infanzia, della mensa a chilometri zero da poco organizzata e ai quali il Comune ha contribuito anche economicamente. Ma si è parlato anche della mancanza di una figura spirituale, di qualcuno che, come aveva fatto don Luigino, riuscisse a tenere insieme i giovani e a educarli al servizio agli altri. Qualche consigliere (in particolare Claudio Nuti e Renata Turio) ha rievocato l’oratorio della sua infanzia e la centralità della figura del sacerdote. Chi ha parlato contro la decisione del sit-in (soprattutto Flavia Bonaldo, catechista) ha messo in luce il dovere che don Luigino aveva dell’obbedienza al vescovo e la necessità di non creargli ulteriori ferite, mettendolo tra incudine e martello. E’ stata eccepita che la forma della protesta era esagerata e che era forse possibile trovare una soluzione. Ma i toni decisi, a volte da stadio, hanno prevalso.

Non ha convinto la decisione di affidare la parrocchia al parroco di Villanova, don Carlo Rampone, che non riuscirebbe a garantire la presenza che ci vuole. Non ha neanche convinto la proposta del vescovo alla delegazione giunta in vescovado qualche giorno prima, di dedicare il servizio di un diacono solo a s. Paolo Solbrito. Certo un sacerdote fisso resta l’ideale.

Solamente due interventi sembrava provassero a far riflettere su come stava la realtà. Il primo del giovane consigliere Gabriele Ronco che ha cercato di far notare che la mancanza di sacerdoti obbliga a ripensare la conformazione delle parrocchie e di chi ne fa parte. Il secondo di un membro del coro che molto pragmaticamente ha chiesto se esisteva un “piano B”, nel caso in cui la protesta non avesse esito positivo. Infatti il punto, evitato da tutti, era proprio quello: basta guardare una cartina della Diocesi di Asti per rendersi conto che si va rapidamente verso la presenza di un sacerdote ogni 10 mila abitanti e che il richiedere la presenza fissa di uno per 1.200 abitanti (ma don Luigino attualmente era anche parroco a Dusino San Michele) è utopico. Allora la domanda resta quella: qual è il possibile piano B per il comune, la parrocchia e l’intera popolazione? E un sit-in di questo genere non rischia di far cadere nel ridicolo un intero paese?

Dino Barberis