L’Istituto Nazionale di Statistica ha diffuso i dati raccolti nel 15° Censimento della popolazione di ciascuno degli 8.092 comuni italiani. La popolazione è riferita alla data del Censimento, il 9 ottobre 2011, e ammonta in totale a 59.433.744 unità. La popolazione censita (pubblicata su Supplemento ordinario n. 209 alla Gazzetta Ufficiale 294 di ieri, 18 dicembre 2012) diviene riferimento legale per il Paese fino alla successiva rilevazione ed è perciò definita “popolazione legale”. Al primo Censimento dell’Italia Unita, svolto nel 1861, gli abitanti erano poco più di 22 milioni; nell’arco di 150 anni la popolazione residente è quasi triplicata arrivando a circa 59,5 milioni di persone. La variazione media annua della popolazione è cambiata nel tempo, registrando valori massimi fino al Censimento del 1921 e valori minimi negli ultimi decenni quando l’andamento è divenuto sostanzialmente stabile. Rispetto al 2001 si manifesta un significativo incremento di popolazione: i risultati definitivi del 15° Censimento evidenziano, infatti, una variazione media annua del 4,3‰, analogamente a quanto registrato tra il 1971 e il 1981. La popolazione residente in Italia il 9 ottobre 2011, data di riferimento del 15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni, è pari a 59.433.744 individui. Si distribuisce per il 45,8% nell’Italia Settentrionale, per il 19,5% in quella Centrale, per il restante 34,7% nell’Italia Meridionale e nelle Isole. Più del 50% dei residenti è concentrato in 5 regioni, una per ciascuna ripartizione geografica (Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia), in analogia con quanto rilevato nel 2001. Rispetto al 14° Censimento, quando la popolazione residente censita era risultata pari a 56.995.744, si registra un incremento complessivo di 2.438.000 individui (4,3%); considerato il lieve calo della popolazione di cittadinanza italiana, tale incremento è da attribuire esclusivamente alla componente straniera. Infatti, rispetto al censimento del 2001 la popolazione di cittadinanza italiana è diminuita di oltre 250 mila individui (-0,5%), mentre quella straniera è aumentata di 2.694.256 individui. La Figura 1 mostra che tutte le regioni guadagnano popolazione straniera; al contrario, 13 di esse perdono popolazione italiana. In particolare, la contrazione demografica degli italiani riguarda tutto il Mezzogiorno, il Piemonte, la Liguria e il Friuli-Venezia Giulia per il Nord Italia, la Toscana e l’Umbria per il Centro. Di contro, le regioni che compensano questo trend negativo sono, in particolare, il Trentino Alto-Adige con un incremento rispetto al 2001 del 3,8%, il Lazio con il 2,3% e la Lombardia con lo 0,5%. Con riferimento al totale della popolazione residente la variazione percentuale maggiore è stata in Italia Nord-Orientale (+7,5%), seguita dall’Italia Centrale (+6,5%) e Nord- Occidentale (+5,5%), mentre nelle altre due ripartizioni la variazione è minima (+0,4% per l’Italia Meridionale e +0,6% per quella Insulare). A livello regionale i maggiori incrementi di popolazione si rilevano nelle regioni del Centro-Nord, in particolare in Trentino-Alto Adige (9,5%), in Emilia-Romagna (8,5%), nel Lazio (7,6%), in Lombardia (7,4%) e in Veneto (7,3%). Al contrario, nelle regioni del Sud e delle Isole si registrano incrementi lievi (intorno all’1% in Campania, Puglia e Sicilia) e perdite di popolazione (superiori al 2% in Molise, Basilicata e Calabria). Il comune più grande in Italia, in termini di popolazione, è Roma con 2.617.175 residenti; Pedesina, in provincia di Sondrio, è invece il più piccolo, con 30 residenti. Il comune che ha avuto il maggior incremento di popolazione rispetto al 14° Censimento è Rognano, in provincia di Pavia (219,1%), mentre Paludi, in provincia di Cosenza, è il comune con maggior decremento rispetto al 2001 (41,2%). Nel corso degli ultimi dieci anni, 4.867 comuni italiani (60,1%) hanno registrato un incremento di popolazione. La popolazione è aumentata nell’81% dei comuni di dimensione intermedia (tra 5mila e 50mila abitanti), nel 68,4% dei comuni tra 50.001 e 100.000 abitanti e nel 51,8% di quelli piccoli (meno di 5mila abitanti). Complessivamente, i comuni tra 5mila e 20mila abitanti, hanno registrato un incremento di popolazione del 7,9%, quelli di medie dimensioni un incremento del 5,4%, mentre la popolazione è rimasta pressoché stazionaria nei comuni grandi (0,4%). Tuttavia, tra i comuni con oltre 100.000 abitanti, 295 hanno segnato un saldo positivo di popolazione di 249.107 abitanti rispetto al Censimento del 2001, mentre per gli altri 176 è risultato un saldo negativo di 193.526 individui.   Analizzando il dato per ripartizione geografica, nel Nord-Ovest 2.145 comuni (70,1% della ripartizione) hanno avuto un incremento di popolazione, 197 di questi con un aumento superiore al 25%. Incrementi consistenti si registrano anche nel Nord-Est (1.124 comuni, 75,9% della ripartizione) e nel Centro (694 comuni, 69,7%). Nel Sud e nelle Isole, al contrario, prevalgono i comuni che hanno ridotto la propria popolazione (1.653 con decremento contro 904 con incremento); in particolare, 1.153 (64,4%) comuni meridionali hanno perso popolazione, di questi 179 con una diminuzione superiore al 15%. A livello nazionale, più di un terzo dei comuni (3.034) ha subito una variazione contenuta, registrando un incremento o un decremento di popolazione fino al 5%, 361 comuni hanno registrato un aumento di popolazione superiore al 25% (più della metà concentrati nell’Italia Nord- Occidentale), mentre 53 comuni hanno perso più di un quarto della popolazione risultante al Censimento 2001; tra questi, 30 comuni sono localizzati nell’Italia Meridionale. Se si considera la distribuzione della popolazione per zona altimetrica, emerge che la popolazione si concentra per l’87,4% in comuni di pianura e di collina, mentre gli individui residenti nei 2.596 comuni di montagna (32,1% del totale dei comuni italiani), corrispondono al 12,6% della popolazione residente in Italia.   La struttura per genere della popolazione residente si caratterizza per una maggiore presenza della componente femminile. Le donne, infatti, sono 30.688.237 (pari al 51,6% del totale) e superano gli uomini di 1.942.730 unità. Questa differenza di genere, dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione e alla maggiore speranza di vita delle donne, fa sì che in Italia si contano 93,7 uomini ogni 100 donne. A livello di ripartizioni geografiche non si segnalano variazioni significative, anche se nell’Italia Centrale il rapporto di mascolinità si attesta al 92,3%, mentre in quelle del Sud, delle Isole e del Nord-Est è leggermente più alto. Le regioni dove il rapporto di mascolinità risulta più elevato sono il Trentino-Alto Adige (95,9%), la Basilicata (95,8%) e la Sardegna (95,6%). La Liguria presenta il valore più basso dell’indicatore (89,5%). In 1.898 comuni, pari al 23,5% del totale, il rapporto di mascolinità risulta sbilanciato a favore della componente maschile con il primato che spetta a due comuni del cuneese: Castelmagno (182,8%) e Valmala (190,9%). Di contro, a Montebello sul Sangro, in provincia di Chieti, si contano 67,8 uomini ogni 100 donne. Attraverso l’osservazione della piramide per età della popolazione residente, anche in un’ottica di confronto rispetto alla tornata censuaria del 2001, il fenomeno dell’invecchiamento si presenta in tutta la sua portata. Ad un primo colpo d’occhio, fatta eccezione per le classi 0-4 e 5-9 anni, si nota un minor peso delle classi più giovani (fino alla classe 35-39) e una maggiore incidenza delle classi più adulte già ad iniziare dalla classe 40-44 anni. Più in particolare, al Censimento del 2011 i residenti di età compresa tra i 10 e i 39 anni sono 20.337.917 contro i 22.607.412 del precedente Censimento (-2.269.495, pari a una diminuzione percentuale del 10,0%). Nella classe di età 25-29 anni la variazione percentuale risulta ancora più marcata (- 22,9%), con una riduzione del numero di residenti pari a 971.247 unità, mentre nella classe successiva (30-34 anni) la riduzione si attesta a 762.401 individui (-16,8%). La percentuale di popolazione di 65 anni e più è passata dal 18,7% (10.645.874 persone) nel 2001 al 20,8% nel 2011 (12.384.963 persone). L’aumento è stato sensibile anche per le età più avanzate: la popolazione di 75 anni e più è passata dall’8,4% del 2001 (4.762.414 persone) al 10,4% del 2011 (6.152.411 persone). Anche i “grandi vecchi”, ovvero gli ultra 85enni, incrementano il loro peso percentuale sul totale della popolazione residente (dal 2,2% del 2001 al 2,8% del 2011) ma, se si analizzano le variazioni percentuali all’interno di questo sottoinsieme di persone, risulta che l’incremento maggiore si registra nella classe 95-99 anni (+78,2%) e in quella degli ultracentenari (+138,9%). In valore assoluto questi ultimi sono 15.080, un numero inferiore del 6,6% a quello della popolazione anagrafica calcolata all’ 1 gennaio 2011 appartenente alla stessa classe di età (16.145). L’analisi territoriale mostra una geografia dell’invecchiamento abbastanza variabile. Considerando l’età media della popolazione residente, che per l’Italia nel suo complesso si attesta a 43 anni (Figura 3), le regioni del Sud presentano valori al di sotto del dato nazionale (Cartogramma 6). In Calabria, Puglia, Trentino-Alto Adige e Sicilia l’età media è pari a 42 anni, mentre in Campania scende al livello minimo di 40 anni. Quattro sono le regioni che si attestano sul valore medio nazionale (Lazio, Basilicata, Veneto e Lombardia), mentre nelle altre regioni il dato varia dai 44 anni di Sardegna, Valle d’Aosta, Abruzzo e Molise, ai 45 anni di Marche, Emilia-Romagna, Umbria, Piemonte e Toscana, fino a toccare il valore massimo in Friuli-Venezia Giulia e Liguria dove l’età media si attesta rispettivamente a 46 e 48 anni. Il comune più giovane è Orta di Atella, in provincia di Caserta con una età media di 32 anni, il più vecchio è Zerba, in provincia di Piacenza, dove l’età media è di 65 anni. Il progressivo invecchiamento che caratterizza la popolazione italiana risulta ancor più evidente attraverso l’analisi di due indici sintetici. Il confronto tra la numerosità degli anziani (65 anni e più) e quella dei bambini sotto i sei anni di età, che caratterizza lo squilibrio della piramide per età della popolazione, mostra che per ogni bambino con meno di sei anni si contano sempre più anziani. Dal 1971 al 2011 l’indicatore mostra un andamento costantemente crescente passando da 1,1 anziani per un bambino al censimento del 1971 a 3,8 al censimento del 2011 (3,4 anziani per un bambino nel 2001). Nel 2001 si contavano in Italia 11,1 persone di 100 anni e più ogni 100.000 residenti; nel 2011 il valore dell’indicatore si attesta a 25,4, con punte di 46,2 registrate in Liguria e 41,9 in Friuli- Venezia Giulia. La Lombardia è la regione in cui, in valore assoluto, è stato rilevato il maggior numero di ultracentenari (2.391, 15,9%), seguita dall’Emilia-Romagna (1.533, 10,2%) e dal Veneto (1.305, 8,6%). Nel corso dell’ultimo decennio intercensuario, la popolazione straniera residente in Italia è triplicata, passando da poco più di 1 milione e 300 mila persone nel 2001 a oltre 4 milioni nel 2011. La lettura congiunta dei risultati fa emergere che l’incremento della popolazione totale è dovuto esclusivamente all’aumento degli stranieri ed evidenzia il trend negativo della popolazione italiana. Quasi un quarto degli stranieri risiede in Lombardia, circa il 23% in totale vive in Veneto e in Emilia-Romagna e il 9% in Piemonte. Il Lazio e la Toscana totalizzano il 18%, la Campania il 3,7%. In tutte le regioni prevale la componente femminile, sebbene in Lombardia e in Veneto le percentuali di donne siano più contenute che altrove. L’Emilia-Romagna registra l’incidenza più elevata con 104 stranieri ogni mille censiti, seguita dall’Umbria, dalla Lombardia e dal Veneto, mentre nel Sud e nelle Isole i valori dell’indicatore si riducono in misura consistente. La popolazione straniera censita risiede per circa il 45% nei comuni fino a 20.000 abitanti, dove l’incidenza è pari a 58,5 stranieri per mille censiti, mentre per il 29% è concentrata nei comuni con almeno 100.000 abitanti, nei quali si registra l’incidenza sul totale dei censiti più elevata (86,3 stranieri per 1.000 censiti) e di gran lunga superiore alla media nazionale (67,8 stranieri per 1.000 18censiti). Il rapporto di mascolinità risulta meno variabile rispetto alla distribuzione regionale e ripartizionale e registra il valore massimo nei comuni tra 5.000 e 20.000 abitanti.