ronArriverà al Palco 19 di Asti martedì 5 febbraio il Way Out Tour di Ron, dopo le date di Torino e Milano. Un album di inediti in vendita da oggi, 29 gennaio, una raccolta di cover internazionali frutto di un intenso lavoro di ricerca durato circa due anni. “I miei riferimenti musicali sono da sempre James Taylor e tutta la scena musicale della West Coast americana di una volta, – spiega Ron – ovviamente Bob Dylan, chiaramente Donovan e gli eredi naturali di questa tradizione, in particolare Damien Rice che amo per l’asciuttezza dei suoi versi. Proprio partendo da Damien Rice mi sono avventurato nella rete alla ricerca di personaggi anche molto giovani, che magari avevano fatto un disco e lo stavano presentando in giro per gli Stati Uniti o in qualche pub in Inghilterra. Non pensavo ci fosse una realtà di giovani cantautori così strutturata e di così alta qualità. Ho cercato a lungo su YouTube. Ho selezionato, escludendo gli autori che per quanto bravi a costruire grandissime atmosfere avevano testi che non dicevano nulla, e sono arrivato alle 12 canzoni dell’album”. Oltre al brano di Rice, nella tracklist ci sono i lavori di David Gray e Badly Drawn Boy, artisti sidestream come i Weepies e Colin McLeod, o degli emergenti come Michael Kiwanuka e Amos Lee. Musicalmente che approccio hai scelto rispetto ai brani di questi cantautori? “Ho cercato di essere molto fedele solo su Damien Rice, che due anni fa aveva scritto su Twitter che “Cannonball” andava eseguita in un certo modo… Questa è la canzone per i cui arrangiamenti siamo rimasti più vicini all’originale. Sulle altre siamo stati molto più liberi. Per esempio Gran Torino è più americana nella mia versione, con il dobro che fraseggia, rispetto a quella di Jamie Cullum che la eseguiva con un pianoforte e un’orchestra di sessanta elementi. Alla fine comunque ho ricevuto molti complimenti”. Come era già accaduto per Jackson Browne la traduzione ha avuto un rilievo fondamentale. “Come nel caso di “Una città per cantare”, in cui la traduzione fu di Lucio Dalla e Jackson Browne ammise che l’adattamento era addirittura meglio del testo originale, ho cercato di esprimere la filosofia degli autori nel miglior modo possibile, usando termini che in italiano forse suonano strani.  Ma cercavo anche questo, un linguaggio in grado di uscire dal seminato. Dove non sono stato filologico, perché i passaggi del testo i gli idiomi non lo consentivano, ho provato a mettere del mio”. Il titolo, “Way Out”, cosa racconta dell’album? “Quando ho iniziato questo progetto non sapevo esattamente cosa stavo cercando. Alla fine il minimo comune denominatore di tutte le canzoni è una forma di resistenza, il tentativo di trovare una via d’uscita a varie forme di crisi, non solo economiche ma di valori. Crisi di cui è persino difficile parlare.  Te ne accorgi confrontandoti con persone con cui magari hai lavorato per anni e adesso stenti a riconoscere. Sta succedendo qualcosa e bisogna reagire, uscire da questo incubo. A me è servito tantissimo il viaggio in America di due anni fa. Fu illuminante. A New York le persone ti salutano mentre cammini per strada, anche se non ti conoscono: “How you doing?”, cose impensabili in Italia. Ed entri nei club, ti butti, ti metti in gioco, sali sui palchi, con la tua chitarra, e canti. La gente ti ascolta e magari ti dà una pacca sulla spalla. Non mi sono mai sentito rifiutato. Tutto là sembra possibile”. Info 333-5388252, www.palco19.com Prevendita biglietti al Ritz. Il testo integrale dell’intervista sulla Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 1 febbraio. Marianna Natale