C’è chi ha domande e c’è chi ha risposte. Chi progredisce chiedendo e chi cerca evidenze e certezze per quietare i propri dubbi. Nel sistema complesso di una città che si interroga – a cavallo di estrazioni sociali, generazioni, professioni, credo religiosi – il Cortile dei Dubbiosi accompagna quest’anno in modo inedito il cammino verso l’evento culminante del 30 aprile. Giunta alla sua quarta edizione, l’iniziativa di invito al dialogo che il Progetto culturale della diocesi di Asti apre alla città per favorire partecipazione e libertà di confronto, stimola infatti un dialogo crossmediale sulle pagine del giornale diocesano Gazzetta d’Asti, quelle del sito internet del settimanale gazzettadasti.it e le pagine ufficiali dei social network (hashtag #CortileDeiDubbiosi) Diversi strumenti per dare a giovani, adulti, laici, religiosi, studenti, lavoratori, pensionati le stesse possibilità di discussione sui grandi temi dell’attualità. Anna Maria Bossone, via Facebook, dice: “Dante tutto ha già pensato e scritto: “Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita…” Per ritrovarla, molti ritengono che oggi sia necessario promuovere un Nuovo Umanesimo: l’anno scorso si è svolto un convegno sul tema a Firenze, i Focolarini da anni hanno fondato “Umanità nuova” e nell’ambito del Progetto culturale della Diocesi di Asti alcuni studenti del Liceo Classico Alfieri, guidati dai professori Cinzia Zenzon e Enrico Cico, stanno riflettendo sull’argomento. Mio marito Beppe e io ne condividiamo la necessità e pensiamo che alla base di un nuovo umanesimo ci debba essere l’impegno e il desiderio di generare, accogliere e custodire la vita. Ringraziamo pertanto genitori, insegnanti, medici, coltivatori e allevatori: tutti coloro che danno la possibilità e la gioia di vivere agli altri”. Alcuni dei contributi arrivano questa settimana dalle pagine della rivista Famiglia Domani (n.1/2016). Come quello di don Vittorio Croce, docente di teologia dogmatica, direttore della Gazzetta d’Asti e direttore responsabile di Famiglia Domani: “Mi ha sempre tristemente colpito la scena o il racconto, di fantasia, di Gesù bambino che, lavorando nella bottega artigianale di Giuseppe, ogni tanto si trovava a costruire piccole croci. Più frequente ancora, sulle tele, la scenetta di Gesù che gioca con Giovanni Battista abbracciando o carezzando un bianco agnellino, riferimento evidente all’«Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» col suo farsi vittima sacrificata. Come a significare che la vita di Gesù di Nazareth è segnata inesorabilmente dall’ombra incombente della croce, marcata cioè – come si diceva nella teologia scolastica – dal «mandatum moriendi» o comando di morire che gli viene dal Padre. A pensarci bene, una vita da incubo. No, assolutamente no. La vita terrena di Gesù fu un’esistenza buona, bella e felice. Tutta illuminata, dal principio alla fine, dalla gioia del vangelo, lieto annuncio dell’amore di Dio. Altrimenti, che «evangelo» sarebbe stata?”. O come quello di Luigi Ghia, che nell’editoriale dal titolo “Sentieri di senso” scrive: “Un cuore senza parole può sopravvivere? Di fronte ai grandi drammi dell’esistenza, allo scempio di vite umane al quale assistiamo impotenti, ai barconi colmi di uomini, donne e bambini che naufragano nel Mediterraneo, il cuore rimane senza parole di senso. Muto. Indignato. Quante parole inutili esso è sovente costretto a udire! Meglio dunque un cuore senza parole, che tante parole senza cuore. Ma un cuore senza la Parola non sopravvive. Si sclerotizza. Impedisce che vi prendano casa pensieri nuovi”.