Presentazione in grande stile, questa mattina, del nuovo film del regista astigiano Giuseppe Varlotta. Il cielo oltre la nebbia, le cui riprese inizieranno probabilmente nell’autunno prossimo, è una storia medioevale contemporanea, nella quale teatro, cinema e cinema dentro il cinema si intrecciano. Un film in costume, d’avventura ma non solo, nel quale quasi tutti i protagonisti interpretano un doppio ruolo, quello nel passato e quello nel presente. Un film di cui è ancora difficile raccontare ma che vanta un cast di tutto rispetto, dal poliedrico Pietro Sermonti, al cantante prestato al cinema Francesco Baccini, al giovane talento astigiano di Alessandro Danzi, a nomi del calibro di William Nadylam, Nadia Kibout, Nuot Arquit, Mohamed Zouaui, Giorgio Colangeli, Roberto Herlitzka e Claudia Cardinale. Ma Varlotta, al suo secondo lungo dopo Zoè, ha potuto contare su nomi importanti anche per quanto riguarda i costumi come Fabrizio Modina e i bozzetti realizzati da Luigi Piccatto fumettista di Dylan Dog. Il progetto, in preproduzione, è stato presentato questa mattina all’Hasta Hotel alla presenza anche dei suoi maggiori protagonisti. Fra loro Pietro Sermonti, conosciuto al grande pubblico per il ruolo di Guido Zanin nella fortunata serie tv “Un medico in famiglia” e per Stanis La Rochelle, protagonista di “Boris”. Pietro Sermonti, perché scegliere di prendere parte a un’opera di un regista al suo secondo lavoro e che ha proposto una sceneggiatura ancora in divenire ma che lascia presagire un film “diverso” e sopra le righe? Innanzi tutto perché Giuseppe Valrotta mi ha scelto e questa non è una condizione da poco. In secondo luogo perché a 40 anni penso di essermi ritagliato il privilegio di poter scegliere i ruoli che più preferisco. Ruoli che fanno parte di veri percorsi creativi e narrativi e non certo di lavori fatti per riempire gli spazi fra una pubblicità e l’altra. Il fatto che poi il regista non sia un nome conosciuto al grande pubblico è quasi un merito se si pensa alla situazione del cinema italiano fatta di attori e registi sempre uguali a se stessi. Il merito di Varlotta poi è quello di non aver ancora una sceneggiatura definita nel dettaglio e di aver creato un casti importante che vanta nomi del calibro di Claudia Cardinale, Roberto Herlitzka, Giorgio Colangeli e tanti altri, professionisti dai quali posso imparare molto e allora perché dire di no a un progetto che affronta anche il tema del meta, ossia del cinema dentro il cinema, del teatro nel teatro, un po’ come avevamo fatto in Boris? Qual è allora la situazione del cinema italiano in un momento di crisi? Io ritengo che nel mondo dell’arte la crisi sia un’opportunità, una zona molto fertile dove la creatività è più florida e questo avviene anche nel cinema. C’è da dire però che in Italia non c’è molto spazio per i giovani. L’ho provato sulla mia pelle non solo nel ruolo di attore. Ho infatti provato a fare il produttore, scovando lavori di giovanissimi autori, ma mi sono scontrato con un mondo davvero difficile come quello dei finanziamenti statali. Per accedere ai fondi pubblici c’è infatti una sorta di graduatoria a punteggio. I punti vengono assegnati a chi fa lavorare attori che hanno ricevuto più David di Donatello e così via. Un sistema a dir poco assurdo che non permette al pubblico di vedere volti nuovi. Gli attori, anche nelle opere prime, sono sempre gli stessi e questo alla fine non paga. Sarebbe bello che ci fosse più spazio non solo per i registi emergenti ma anche per gli attori e per l’intero cast. In questo senso c’è bisogno di più libertà e gli stessi produttori dovrebbero interrogarsi sulle storie che raccontano, perché in Italia non c’è varietà. E’ raro stupirsi davanti a un racconto, ma anche davanti a un volto nuovo e questo deve cambiare. In Italia non è il talento a scarseggiare e un progetto come è stato Boris lo dimostra. In quell’occasione ci è stata data carta bianca e il risultato è stato un prodotto innovativo, diverso e che ha lasciato ognuno di noi libero di esprimersi prendendosi anche un po’ in giro. Per esempio inizialmente il mio personaggio doveva essere un prete, ma ho insistito che fosse un medico, una sorta di parodia di Guido da me interpretato in Un medico in famiglia. Cinema, televisione o teatro? Assolutamente teatro. Il teatro offre all’attore la possibilità di avere un rapporto diretto con il pubblico, oltre a essere un esercizio quotidiano di recitazione. Ogni sera si va in scena, si racconta una storia e si raccolgono subito i suoi frutti. Nella televisione e nel cinema questo non avviene.