In occasione della seconda edizione del Barbera d’Asti Wine Festival, abbiamo intervistato Stevie Kim, tra i grandi nomi della manifestazione ed esperta di comunicazione internazionale del vino, per parlare di sostenibilità, giovani consumatori e futuro del Monferrato: dai vini più rispettosi dell’ambiente ai packaging innovativi, dai trend all’estero a quelli emergenti in Italia, Stevie ci racconta come una bella tradizione possa specchiarsi in un racconto contemporaneo della Barbera e dei vini del territorio, valorizzando storia, biodiversità e autenticità.
È vero che la sostenibilità ambientale, economica e sociale sta influenzando le scelte dei consumatori più giovani? In Italia e all’estero nella stessa misura?
“Assolutamente sì. Ma attenzione: la sostenibilità non riguarda solo la vigna o la cantina. È una questione a tre dimensioni, ambientale, sociale ed anche economica, ed è proprio quest’ultima che spesso viene dimenticata.
Perché un’azienda sostenibile non è solo quella che rispetta l’ambiente, ma anche quella che riesce a “sostenersi” con il proprio lavoro. Una cantina che non è economicamente sostenibile, soprattutto se piccola, non può durare nel tempo e quindi nemmeno continuare ad essere “green”. Fare impresa in modo sostenibile significa anche riuscire a restare sul mercato, generare valore per la comunità, offerta di lavoro e continuità.
I giovani lo capiscono bene. Sono loro, oggi, a guidare questa rivoluzione culturale del vino: cercano vini buoni, ma anche “giusti”. Vogliono sapere da chi e come sono prodotti.
Biologici, biodinamici, naturali, o semplicemente coerenti con l’etica del rispetto, delle persone, del territorio e anche del prezzo giusto.
Le aziende si stanno adattando a questo cambiamento proponendo bottiglie più leggere, packaging riciclabili, processi produttivi a basse emissioni di carbonio e una comunicazione più trasparente verso il consumatore.
La Generazione Z ama sperimentare: cresce infatti l’interesse per gli orange wine, i rossi leggeri da bere freschi, le versioni low o zero alcohol, come anche per le nuove forme di confezionamento, il Bag-in-Box, le bottiglie in alluminio richiudibili, espressioni di una preferenza di consumo per vini più accessibili e moderni.
Negli Stati Uniti questa sensibilità è già matura: tra i 20 e i 40 anni, circa il 60% dei consumatori preferisce vini sostenibili o provenienti da aziende familiari.
In Italia il cambiamento è più recente, ma sta accelerando rapidamente. Secondo il Centro di Neuromarketing IULM, il 75% dei consumatori dichiara che la sostenibilità influenza le proprie scelte d’acquisto, e quasi il 60% segue il tema con interesse costante.
Quindi sì, all’estero la sostenibilità è ormai la norma, mentre in Italia sta diventando una vera e propria mentalità condivisa. E questo significa anche comprendere che un vino “sostenibile” deve essere buono per chi lo beve ma anche per chi lo produce”.
Quale sarebbe oggi il messaggio più potente che può arrivare dal mondo Barbera?
“Il messaggio chiave è che tradizione e innovazione non sono in conflitto, ma complementari. Il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato lo dimostra concretamente: ha avviato progetti per ridurre l’impatto ambientale e migliorare la qualità della vita della comunità locale.
Ma la sostenibilità non riguarda solo l’ecologia, è anche economia e responsabilità sociale. Supportare i produttori nel restare competitivi e sostenibili significa preservare la continuità del territorio stesso.
E poi c’è la comunicazione, che fa la differenza: se non racconti quello che fai, nessuno lo sa. E non basta dirlo una volta sola. Serve farlo con costanza, quasi prolificità, perché la prima volta non lo avrà colto nessuno. È qualcosa che ricordo sempre anche al mio team della comunicazione: la costanza è la chiave per far arrivare davvero il messaggio”.
Su quali asset devono puntare i vini del Monferrato, spesso penalizzati nel confronto con la vicina Langa?
“Il Monferrato ha tutto: storia, biodiversità e autenticità. La Barbera ne è il suo vitigno simbolo, ma accanto a lei ci sono tante altre uve autoctone, alcune coltivate sin dal Medioevo, che raccontano la ricchezza di un territorio straordinario. Non a caso, l’UNESCO lo ha definito “un esempio eccezionale di interazione tra uomo e ambiente naturale”.
Oggi il valore del Monferrato passa anche dal turismo enologico e da una comunicazione capace di valorizzare la sua identità plurale. Il Consorzio ha il compito di fare da collante, promuovendo la diversità produttiva non come frammentazione, ma come punto di forza.
E poi c’è il futuro, che ha un nome semplice: i giovani. Sono loro il vero asset strategico. Per coinvolgerli serve cambiare linguaggio e strumenti: meno tecnicismi, più storytelling, esperienze dirette e contenuti autentici e condivisibili.
Il vino deve tornare a parlare in modo semplice e vero, ma con un messaggio capace di unire piacere, cultura e responsabilità”.
Marianna Natale


