Classe 1936. Leader storico del combattivo “coordinamento Asti Est”. Un passato in Stipel, Sip e poi Telecom. Condito da battaglie sindacali continue. Culminato nelle lotte per il diritto all’abitare. Con l’esperienza dell’occupazione della ex mutua, ad esempio. Una vita a lottare per i diritti sociali. Degli altri. Una vita dalla parte del torto, come ama dire lui. Perché “ Se una legge è sbagliata, diventa un dovere disobbedire” , come amava dire Bertold Brecht. Carlo Sottile non poteva non intervenire in aiuto della Casa del Popolo, in questi tempi di lockdown che, bloccandone le attività collaterali di ristorazione, rischiano di piegarla.
Perché la Casa del Popolo non deve chiudere?
“Perché è un luogo in cui si coltiva ancora la coscienza collettiva. Perché è il “noi”. Che tanto ci serve in questo periodo, per contrapporlo all’”io”, narcisistico e competitivo. Imperante. Molte esperienze aggregative, ispirate ai valori e alle promesse della Costituzione, hanno attraversato questi spazi, talora domiciliandovi. Non a caso, qui si respira una storia di famiglia, di quelle che legano sentimentalmente le generazioni. Il nome, “Santa Libera”, rimanda ad una vicenda di dissidenza comunista avvenuta al termine della seconda guerra mondiale. Un momento storico in cui la dissidenza non era mai l’impennata di qualche singolo, ma l’accreditarsi consapevole di una comunità di liberi ed eguali, vale a dire: Politica. Sovranità popolare. Un episodio che va ad alimentare la letteratura della cosiddetta “Resistenza tradita”. Una storia che è finita. Così come è finita la storia del conflitto ideologico del secolo scorso e che è finita con un unico indiscusso vincitore: l’attuale neoliberismo. Selvaggio, predatorio, vincitore, che deve però avere il coraggio di assumersi tutte le colpe della crisi sanitaria, economica e sociale che stiamo vivendo oggi. E, cambiare. Per questo la Casa del Popolo non deve chiudere e deve continuare ad essere un luogo dove si costituisce un noi per il bene comune. Un luogo simile, per certi versi, alle tante parrocchie che la critica sociale di questo Papa sta rendendo, paradossalmente, molto più vicine al mio sentire”
Lei ha fatto la “cena virtuale”, in attesa della cena reale?
“Certo: ho aderito alla sottoscrizione che finanzia le utenze. Per il mutuo, no grazie. Anzi, è venuto il momento di imporre alla banca la ricontrattazione del mutuo. Perché la Casa del Popolo non è un semplice, per quanto importante, circolo Arci, ma è la rinascita della politica, quella delle comunità di cittadini che vogliono riappropriarsi, con la politica, della loro vita. Dunque, come già ho detto, un bene comune, di fatto. Ma per le funzioni che svolge, potrebbe esserlo di diritto. Per questo vorrei citare la commissione Rodotà che aveva iniziato a lavorare sui “beni comuni” nel 2007. Nel 2008 ne ha dato una definizione, per un progetto di riforma costituzionale: «Cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona». Definizione che si addice perfettamente a quello che rappresenta la Casa del Popolo. In più, nel 2017 l’associazione “Attuare la Costituzione”, riattualizzando i lavori della Commissione Rodotà e raccogliendo le istanze di movimenti sociali e ambientalisti, ha indotto molti consigli comunali a votare delibere, che affidano alla cittadinanza attiva, come “beni comuni”, proprietà immobiliari rimaste prive di una funzione sociale (art. 42 della Costituzione). E’ vero, che nei rapporti tra l’associazione che gestisce la Casa del Popolo e la proprietà di quell’edificio di via Brofferio 129, (di un noto immobiliarista cittadino), quella privazione non c’è stata. Perché, tali rapporti sono stati regolati, prima da un contratto d’affitto e successivamente di vendita. Ma l’associazione quella vendita l’ha subita e il mutuo conseguente ha finanziato la rendita urbana. Cioè quel modo tutto italiano di valorizzare i suoli, nell’interesse dei proprietari, dei costruttori, delle banche, delle corporazioni professionali; quel modo che ha prodotto i disastri ambientali e sociali di cui adesso paghiamo il prezzo, anche ad Asti. Mi rendo conto che quanto dico giustifica solo il mio rifiuto di finanziare, attraverso il mutuo, la generica rendita urbana, che sulla soglia di quell’edificio di via Brofferio 129 può apparire, al presente, solo come una minaccia. Ma le mie parole possono rafforzare la volontà di tutti di ricontrattarlo, questo mutuo, prima che diventi un onere insostenibile. In conclusione, uno dei luoghi di Asti, che esprimono “utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo persona» è indubitabilmente la Casa del Popolo Santa Libera. Dunque bisogna sottoscrivere, ma soprattutto rivendicare la ricontrattazione del mutuo.
Paolo Viarengo