Bisogno primario e immagine potentemente evocativa, argomento di inchieste, ricerche, studi, mode, riviste di settore ma anche tema di preghiera, il cibo, nella sua dimensione economica come in quella simbolica costituisce da sempre un fondamentale elemento di discrimine. Tra carestia e ricchezza; tra salute e malattia; tra nomadismo e stanzialità; tra civiltà: quella europea del pane e dei cerali contrapposta, ad esempio, a quelle del mais e del riso. Ma anche tra passato e presente, ed è proprio sul tema Cibo di ieri e cibo di oggi. Usi alimentari dal medioevo ai giorni nostri che si snoderà il dialogo tra Renato Bordone e Giorgio Calabrese oggi, venerdì, alle 17, all’Archivio storico del Comune (via Massaia).
Partendo dal presupposto che il cibo ricopre un ruolo centrale nella storia,e che la cultura culinaria rappresenta un metro fondamentale per comprendere i cambiamenti che avvengono in una società, lo storico e il dietologo cercheranno di mettere in luce origini e trasformazioni del nostro sistema alimentare a partire dalla fusione fra la dieta del mondo mediterraneo e quella dei barbari, che caratterizzò il mondo medievale, per arrivare alle considerazioni dietetiche sull’assunzione del cibo oggi alla luce della più recente ricerca scientifica.
“Per la sua sopravvivenza – spiega Bordone, medievista e storico dell’alimentazione – fin dalla prima comparsa sulla terra, l’uomo come tutti gli animali  deve alimentarsi, ma, a differenza di essi, il cibo per l’uomo è soprattutto una forma di cultura: quando si produce, come si prepara e come si consuma. Risale al neolitico (intorno a 10.000 anni fa) la domesticazione dei vegetali commestibili e degli animali a scopo alimentare e dunque la nascita della “cucina” come preparazione del cibo”.
“In particolare – prosegue Bordone – la storia dell’alimentazione europea degli ultimi 2000 anni si può considerare  segnata da tre significativi momenti di trasformazione. In una società sedentaria di ambito mediterraneo come quella greco-romana – caratterizzata da una dieta tendenzialmente vegetariana (pane, olio, vino) – l’incontro con il mondo seminomade dei barbari del Nord, consumatori soprattutto di alimenti di origine animale, portò a una prevalenza della dieta carnea, subito temperata, però, dalla diffusione del Cristianesimo che contribuì alla sopravvivenza degli alimenti mediterranei e impose ciclici periodi di astinenza dalle carni. L’integrazione dei due influssi diede origine alla dieta dei secoli successivi in cui la prevalenza della carne o del pane assunse un significato sociale (cibo dei ricchi, cibo dei poveri)”.
“Una svolta avvenne nel Cinquecento con la Riforma e con l’importazione di nuovi alimenti dalle Americhe: fu così che il mondo tedesco riprese le abitudini alimentari originarie, favorendo in Europa la fortuna delle salse grasse (a base di burro), mentre i nuovi prodotti americani (mais e patata) si diffusero soprattutto dal Settecento – secolo della fame a causa dello straordinario boom demografico -, in quanto molto più produttivi rispetto ai cereali europei”.
“I “cibi della fame” – conclude il professor Bordone – sopravvissero presso le classi subalterne come unica risorsa fino alla metà dell’Ottocento, quando lo sviluppo dell’industria alimentare, favorita dalle nuove tecniche di conservazione, rese accessibile a fasce più ampie di popolazione il consumo dei prodotti in precedenza riservati ai più agiati, mantendo la distinzione sociale solo sul piano della qualità”.
Le problematiche aperte dal presente non sono da meno, dopo gli scandali alimentari, le fobie sulla salubrità, il timore di un livellamento mondiale del gusto, causato dalla globalizzazione che ha intensificato talmente gli scambi da un paese all’altro da riversare sulle tavole dei consumatori attuali un’infinita genia di prodotti alimentari provenienti da qualsivoglia parte del mondo.
La partecipazione all’incontro, organizzato dal Centro Studi sui Lombardi, è aperta a tutti.
Marianna Natale