Sabato 9 agosto, un gruppo formato da diciotto giovani, tre sacerdoti e il Vescovo Marco è partito da Asti per arrivare in Kenya, dove sta vivendo un’esperienza missionaria in tre città del paese. Infatti, per la prima settimana, i giovani sono stati a Nairobi, nel quartiere e nella parrocchia di Tassia. In questi giorni si sono spostati verso nord, a Nyahururu, ospiti alla St Martin Catholic Social Appostolats e, infine, per gli ultimi giorni, si sposteranno ancora più a nord a Maralal. Il viaggio durerà tre settimane, fino a mercoledì 27 agosto.

18-20 agosto

Lunedì mattina abbiamo lasciato la parrocchia di Tassia per raggiungere la comunità missionaria di St Martin a Nyahururu, poco al di sotto dell’equatore. Partendo in mattinata, abbiamo percorso un lungo tragitto, di circa duecentochilometri, facendo delle soste di tanto in tanto, e arrivando a Nyahururu a metà pomeriggio. Dai finestrini del matatu, il pulmino su cui viaggiamo, abbiamo visto il paesaggio cambiare: dalla realtà cittadina di Nairobi, annebbiata, caotica e sempre in movimento, siamo a passati a prati verdi sconfinati, aria limpida e mucche e capre che pascolano sul ciglio della strada. A Nyahururu, dopo essere passati velocemente nella sede centrale del St Martin, siamo stati accolti nel centro Talitha Kum,sede distaccata e specializzata del St Martin, in cui avremmo passato i giorni seguenti. Un assistente sociale che lavora lì, Peter, ci ha raccontato la storia del centro: fondato nel 2005 come progetto distaccato del St Martin, il Talitha Kum ospita una ventina di bambini sieropositivi e due sospetti sieropositivi. Il centro ospita da cinque contee del Paese e accoglie bambini dai sette mesi ai sette anni, tra i più vulnerabili, grazie al lavoro di quattro suore, alcuni educatori e due assistenti sociali. Ci ha raccontato qualcosa anche Alice, assistente sociale del St Martin: al centro, ai bambini vengono forniti medicine per la gestione dell’HIV, cibo sano e bilanciato, necessario per la buona efficacia delle cure mediche, e amore. Il motto del Talitha Kum, infatti, è proprio Love Gives Life, ‘L’amore dà la Vita’. I bambini accolti non sono apprezzati dalla loro comunità, vengono emarginati e discriminati, non vengono mandati a scuola; l’amore che viene loro donato al centro è, per loro, ragione di vita, motivo per continuare a vivere, che dona una dignità di cui non hanno mai goduto. Particolarità e obiettivo del centro, inoltre, è la reintegrazione nella società, nelle comunità, nelle famiglie, fornendo sempre sostegno, soprattutto economico. Il Talitha Kum svolge regolarmente incontri nella comunità, in modo tale da farsi conoscere e sostenere, mirando a un sostegno che vada oltre all’aspetto economico, oltre alle donazioni che ricevono spesso. Queste ultime, comunque, sono molto utili al centro, per pagare l’assicurazione sanitaria ai bambini, la loro istruzione e per fornire loro tutto il necessario. 

Il simbolo del centro Talitha Kum sono due mani aperte, che, dopo aver pregato giunte, accolgono il miracolo e, dopo, nuovamente giunte ringraziano per il miracolo. Nella prima mano aperta è rappresentato, inoltre, il miracolo della Risurrezione della figlia di Giairo, quando Gesù le dice proprio “Talitha kum”, traducibile con ‘Fanciulla, io ti dico: alzati’. 

Durante la serata, abbiamo celebrato la messa e cenato, ritirandoci presto. 

La giornata seguente è stata dedicata alla conoscenza e alla visita del centro missionario St Martin e ai suoi diversi progetti. Al mattino siamo stati nella sede centrale, dove gli assistenti sociali Alice, Rachel e James ci hanno raccontato la storia del St Martin e di cosa si occupa. Il St Martin nacque nel 1997, in seguito all’incontro tra due persone, un sacerdote e un ragazzo con disabilità. Don Gabriele, in quell’anno, alla fine di un giro di benedizione delle case, si trovò a benedire un’abitazione per intero, in tutte le stanze, per volere della padrona di casa. Subito dopo, quest’ultima le offrì del chai, andando a prepararlo in cucina, ambiente esterno rispetto al resto della casa. Trovandosi da solo all’interno dell’abitazione, don Gabriele si guardò intorno e si rese conto di non aver benedetto un’unica stanza, da cui, però, provenivano dei rumori. Il sacerdote, allora, aprì la porta e trovò un ragazzo disabile fisicamente e mentalmente, nudo, che viveva al buio e nella sporcizia: Thomas. Don Gabriele chiese alla donna, tornata in quel momento e imbarazzata per la scoperta di suo figlio, il motivo per cui non avesse fatto benedire quella stanza a differenza di tutte le altre, vuote. La madre rispose che un figlio disabile significava una maledizione e quindi qualcosa da nascondere, qualcosa da tenere al buio e a distanza da tutti. Don Gabriele disse alla donna che suo figlio aveva molta più dignità di un animale, lo benedisse e lo battezzò, non essendo Thomas mai stato presentato alla comunità e battezzato. L’incontro tra i due fu tanto incisivo per il sacerdote che iniziò a informarsi sulla presenza di disabili nella comunità circostanti, formando anche un gruppo di volontari per aiutarli. Poco tempo dopo, don Gabriele scoprì che Thomas era morto tre settimane dopo il suo battesimo. L’intero gruppo di volontari si interrogò, quindi, su come fosse possibile che grazie a Thomas tutto fosse cominciato, ma per lui non era stato possibile beneficiare del loro servizio. Capirono, però, che Thomas era vissuto il tempo necessario per compiere la sua missione: ispirare la fondazione del St Martin e permettere di aiutare migliaia di bambini e adulti in difficoltà. 

Dal 1997, il St Martin si è ampliato e ha in atto attualmente numerosissimi progetti di aiuto e sostegno. Si occupa di bambini in difficoltà; accoglie ragazzi e ragazze che hanno subito abusi o mutilazioni; organizza incontri nelle scuole per rendere i bambini consapevoli dei propri diritti umani; riabilita dipendenti da alcol e droga; ha in atto un progetto di pace e riconciliazione tra la tribù, dove i conflitti aumentano durante i periodi di secca; lavora nella direzione dell’emancipazione femminile nelle tribù; propone incontri dopo le elezioni pubbliche per evitare conflitti tra i diversi gruppi politici. Dopo un lungo lavoro nell’ambito dell’accoglienza di bambini sieropositivi, progetto spostato al Talitha Kum per una diminuzione dello stigma riguardo il virus dell’HIV e la malattia dell’AIDS, e un impegno specifico nei confronti di ragazzi e ragazze disabili, progetto ceduto all’associazione L’Arca nel 2018, il St Martin nell’ultimo periodo si sta concentrando in maniera specifica in un progetto sulla salute mentale. 

La filosofia del St Martin, nell’ambito di tutti i suoi progetti, è sempre di andare dove c’è più bisogno e di coinvolgere le intere comunità. Un obiettivo del St Martin, infatti, è la riabilitazione e la reintegrazione delle persone accolte e aiutate nella società e nella loro comunità. Il St Martin tenta, inoltre, di coinvolgere i ricchi e i forti dicendo loro che hanno bisogno dei poveri e dei deboli. Vengono quindi coinvolti ricchi di soldi, di talenti, di risorse, che mettono a disposizione del centro e delle persone accolte, seguite e aiutate i propri soldi, i propri talenti, le proprie risorse.  Infatti, “Nessuno è così povero da non avere qualcosa da dare e nessuno è così ricco da non poter ricevere”, ha detto Alice. Simbolo del centro, infatti, è proprio San Martino, soldato che non ha niente se non il suo mantello, ma che offre metà di quest’ultimo a un povero che incontra, mettendosi al suo stesso livello. 

Nella seconda parte della mattinata abbiamo visitato il centro L’Arca, dove abbiamo incontrato ragazzi e ragazze disabili impegnati in vari laboratori. Alcuni tra i ragazzi rimangono a L’Arca per tutto il giorno dal lunedì al venerdì, altri partecipano alle attività dell’Arca tutti i giorni e vivono nelle residenze dell’associazione. Dopo aver salutato i ragazzi e gli educatori, questi ultimi ci hanno mostrato i laboratori e le attività che i ragazzi svolgono tutti i giorni: pulizia, laboratorio creativo, creazione di candele (che vendono), cucina, laboratorio di giardinaggio. Particolarità del centro è che tutti i laboratori vengono svolti da educatori e ragazzi insieme, che collaborano nella buona riuscita dell’attività, che si aiutano vicendevolmente. Prima di pranzo abbiamo passato altro tempo con i ragazzi del centro, ballando e divertendoci insieme. Per il pranzo, siamo stati nel luogo in cui vivono bambini e bambine salvati dalla strada o che hanno subito violenze o mutilazioni, accolti dal St Martin. Dopo aver mangiato, abbiamo giocato insieme, proposto loro qualche ballo e Lorenzo si è esibito con il suo spettacolo di magia, apprezzato dai bambini di Nyahururu come era stato apprezzato dai bambini di Nairobi. Nel pomeriggio siamo stati al Talitha Kum e, per la cena, siamo stati al centro in cui vivono i ragazzi dell’Arca. Abbiamo mangiato insieme, ci siamo conosciuti meglio e abbiamo concluso la serata ballando anche con i volontari che lavorano con i ragazzi. 

Mercoledì è stata indubbiamente la giornata più impegnativa del nostro soggiorno a Nyahururu. Divisi in gruppi da tre, siamo stati in diversi villaggi in cui vivono famiglie e persone seguite, aiutate e sostenute dal St Martin. 

Il primo gruppo, chiamato ‘Bambini’ e formato da Nicolò, Leonardo e Federico, ha riaccompagnato dalla famiglia una ragazza di sedici anni che era fuggita da casa. La ragazza, accolta per circa un mese dal St Martin, era scappata perché si era resa conto che il padre non sarebbe stato più in grado di pagare le sue spese scolastiche. I ragazzi, quindi, sono arrivati nel piccolo villaggio, formato da poche case e circondato da una distesa di campi e vegetazione. Ha detto Nicolò: “Quando hanno visto la ragazza, hanno tutti cominciato immediatamente a piangere, l’hanno abbracciata e hanno ringraziato che fosse tornata. Dopo ci siamo spostati fuori. Il padre si è seduto su una sedia e ha firmato il consenso per essere aiutati dalla comunità del St Martin. In questo modo, il centro sosterrà la famiglia nelle spese scolastiche della figlia e lei continuerà a vivere a casa di suo padre. Dopo ci hanno offerto il chai e abbiamo pregato insieme”. 

Il secondo gruppo, chiamato ‘Giustizia e Pace’ e formato da Marianna, Matteo e Valentina, ha conosciuto gli Ambasciatori di Pace del St Martin che si occupano della risoluzione di conflitti tra tribù. Ha detto Marianna: “Nel villaggio samburu in cui siamo stati, abbiamo conosciuto un’Ambasciatrice di Pace donna, scelta che in principio non è stata apprezzata dalla comunità. Dopo ci siamo spostati, invece, in un villaggio kikuyu. Ci siamo seduti sotto un gazebo e abbiamo assistito a una cerimonia di ringraziamento interreligiosa per la comunità, che sta pagando gli studi a una ragazza”. 

Il terzo gruppo, chiamato ‘Economia’ e formato da Lorenzo, Gabriele e Ilaria, ha conosciuto il progetto ‘Livelyhood’ che si occupa di aiutare le comunità che hanno bisogno di sostegno a livello pratico e di organizzazione interna. Ha detto Lorenzo: “Siamo stati in un villaggio in cui stava avvenendo una riunione. La riunione aveva come obiettivo la discussione di un progetto di costruzione di pozzi per l’acqua. La comunità, infatti, deve percorrere decine di chilometri a piedi per prendere l’acqua e, soprattutto nei periodi di siccità, devono affrontare problematiche con il bestiame e con il raccolto per la mancanza d’acqua. Mi ha colpito l’isolamento quotidiano che vive la comunità, a più di un’ora di macchina dalla città, e la difficoltà nel convincere la comunità ad accettare un progetto che avrebbe migliorato la loro vita e il loro lavoro”. Gabriele ha detto: “Il volontario che presentava il progetto era teso, aveva timore di mostrarlo alla comunità, ma quando tutto è andato per il verso giusto mi sembra abbia fatto un respiro di sollievo”. 

Il quarto gruppo, formato da Ginevra, Luna e don Mauro, è tornato all’Arca, per svolgere i laboratori con i ragazzi disabili della comunità. Ha detto Ginevra: “Ci siamo divisi e don Mauro e Luna sono andati al laboratorio creativo, mentre io sono andata in cucina. Mentre ero lì mi guardavo intorno e mi sono accorta che la responsabile della cucina non ha dovuto dire nulla ai ragazzi, che si sono organizzati e hanno svolto i loro compiti in completa autonomia. Alla fine ci siamo riuniti e siamo andati nel laboratorio delle candele. Ho visto durante tutta la giornata come i ragazzi fossero felici che fossimo lì e a posteriori mi rendo conto di come, per certi aspetti, la nostra presenza li abbia aiutati durante la giornata”. 

Il quinto gruppo, chiamato ‘Arche’ e formato da Elisabetta, Marta, Agnese e don Rodrigo, ha visitato ragazzi disabili seguiti dall’Arca nelle loro famiglie e nei loro villaggi. Ha detto Elisabetta: “Per noi è stata un’esperienza tosta. Vedere le case e le condizioni in cui vivono è stato toccante e anche notare la differenza tra il centro dell’Arca e le capanne in cui siamo entrati. In particolare, abbiamo visitato un ragazzo senza gli arti inferiori che aveva bisogno di cure. I volontari ci hanno spiegato che erano venuti a conoscenza del caso da solo un anno, che ci stanno lavorando, ma che stanno avendo difficoltà con la famiglia, che non è di supporto e non dà il consenso per le cure”. 

Il sesto gruppo, chiamato ‘Mental Health’ e formato da Francesca, Martina e Maddalena, ha visitato persone con disturbi mentali seguiti dal St Martin. Ha detto Francesca: “Mi sono resa conto della grande desolazione e dell’isolamento in cui vivono queste persone e queste famiglie. Ci hanno raccontato di come vengano considerati indemoniati, di come subiscano violenze a causa della loro malattia”. Maddalena ha detto: “Nei giorni passati a Nairobi ci siamo tutti resi conto di come la comunità fosse felice nonostante le difficoltà e il disagio in cui vivono. Qui, invece, la situazione è ancora più tragica e per me è stata molto dura. A Tassia vedevo la gioia, qui non l’ho proprio vista”. 

L’ultimo gruppo, invece, formato da Alessia, don Andrea e Padre Marco, in quanto scout, è stato nella città di Nyeri, a un paio d’ore da Nyahururu, a visitare la tomba di Baden-Powell, fondatore dello scoutismo e del guidismo. Lì hanno pregato di fronte alla tomba e hanno lasciato i fazzolettoni dei tre gruppi scout della nostra Diocesi, Asti 1, Callianetto 1 e San Damiano 1. 

Ha detto il Vescovo Marco riguardo i nostri giorni a Nyahururu: “Penso che i giorni qui siano quelli più d’impatto. Ci siamo trovati di fronte al limite, alla fragilità, alla debolezza, alla disperazione. Questo ci inquieta, ci fa paura. Però, la stessa filosofia del St Martin è che i ricchi hanno bisogno dei poveri, perché l’incontro con il povero ti può cambiare. Quello che abbiamo visto e vissuto può essere considerato quasi violento, ma questo ci mette di fronte al limite dell’altro ma ci dice che anche noi siamo limitati. Questa esperienza va digerita a lungo, ma possiamo iniziare a imparare di non aver paura del nostro limite, ad accettare di essere creature limitate. Abbiamo vissuto un pugno nello stomaco, ma nel momento in cui impari a essere limitato impari a vivere. In più, nell’esperienza che abbiamo vissuto a Nyahururu c’è qualcosa di profondamente religioso: abbiamo visto come il Vangelo è capace di trasformare la storia di un popolo. Dio guarda ogni persona e dice che è valida. Quando questo diventa qualcosa che viene applicato realmente tutti i giorni trasforma la vita delle società, da una società ingiusta e indifferente a una società più giusta e meno indifferente”.

Durante la nostra ultima serata a Nyahururu, siamo stati con i bambini accolti al Talitha Kum. Abbiamo giocato, ballato e ci siamo divertiti insieme. Lorenzo si è di nuovo esibito con il suo spettacolo di magia, intrattenendo e meravigliando i bambini e i ragazzi del centro. 

Domani ci sposteremo per la nostra ultima tappa, a Maralal, parrocchia vicina a dove Padre Marco ha vissuto i suoi tredici anni di missione. Ha detto il Vescovo: “I prossimi giorni saranno diversi, andremo nei villaggi e saranno più delle botte di gioia e di festa, in un mondo che soffre. Questo è il paradosso dell’Africa, dove la gioia e il dolore convivono, dove la bellezza e la morte stanno insieme”. 

Alessia Volpicelli