Un viaggio per riflettere, stare insieme, per vivere meglio la propria interiorità, per conoscere se stessi aprendosi all’altro. Un gruppo di trentanove ragazzi della Diocesi di Asti trascorrerà una settimana nella comunità di Taizè. Un pellegrinaggio organizzato dalla Pastorale Giovanile che difficilmente i ragazzi dimenticheranno.

Terzo giorno

In questa terza giornata a Taizé siamo entrati ormai pienamente nello stile e nei ritmi di questa comunità: la preghiera comune tre volte al giorno, la catechesi e la condivisione, la riflessione personale ma anche i momenti di festa e di incontro tra noi e con gli altri giovani.
In particolare, il brano di Vangelo che oggi ci ha guidati, è stato quello in cui viene raccontata la parabola del Figlio Prodigo. Inizialmente il figlio, in cui tutti possiamo immedesimarci, è inquieto e alla ricerca di una presunta felicità in favore della quale è disposto a lasciare la famiglia e la propria casa. Il Padre lascia la libertà al figlio di compiere le proprie scelte, ma non smetterà mai di aspettarlo. Ed è proprio per questo che, nonostante gli sbagli, lo riaccoglierà a braccia aperte quando, affamato e pentito tornerà a casa.
Ora lasciamo spazio ad alcune riflessioni dei ragazzi in merito a questi primi giorni.

Manuela Di Nardo: all’inizio non era semplice, durante la condivisione, riuscire ad interagire perché non conosco bene la lingua inglese.
Un amico mi ha aiutato con la traduzione e, in questo modo, sono riuscita a partecipare. Nel gruppo ho incontrato delle persone molto comprensive con cui parliamo di vari argomenti, trovando anche spazio per un po’ di divertimento.

Lorenzo Damasio: la giornata di oggi ci ha permesso di riscoprire la parabola del Figliol Prodigo di Luca; un passo che tutti conosciamo e che molto spesso diamo per assodato. Per noi ragazzi non è difficile immedesimarsi nel ruolo del figlio dallo spirito ribelle che rifiuta con fermezza ogni consiglio proveniente dai genitori e decide di fare di testa sua.
L’introduzione biblica di Taizé si è soffermata su alcuni aspetti caratteristici della figura paterna, fra i quali il chiamare il figlio perduto ”morto” e il dare maggiore importanza al suo ritorno rispetto alle sue scuse.

Donatello Ceresa: essere qui a Taizé è un grande onore e avere la possibilità di condividere con altri giovani di tutto il mondo il mio modo di vedere e di vivere la fede cristiana è magnifico. Il confronto in lingua, inoltre, aumenta la bellezza dell’incontro. Anche se siamo solo al secondo giorno mi sento come se fossi a casa.

Francesca Piovan