Continua il diario del nostro vescovo Marco Prastaro in vacanza (si fa per dire) nelle terre del Kenya che l’hanno visto impegnato per ben tredici anni come missionario Fidei Donum. Panorami e animali, ma soprattutto impegno episcopale con incontri, liturgie festose e anche cresime e prime comunioni.

Domenica 14 luglio

La nostra domenica inizia con la messa delle 7,30 in Cattedrale. Nonostante l’ora la chiesa è piena. Le due navate laterali sono occupate dai ragazzi della scuola secondaria Kirisia, i primi banchi sono riempiti da una numerosa serie di bambini, il resto stipato di mamme, papà e qualche anziano.
Il vescovo Pante mi ha gentilmente imprestato uno dei suoi bastoni pastorali. Pastorale che, a onor del vero, ricevette in regalo dalla mia parrocchia nel 2009. Lo avevamo costruito noi: degli anziani erano andati in foresta a cercare il bastone dalla forma giusta, un donna lo aveva decorato con le perline colorate e, infine, in missione lo avevamo sistemato abbinandolo ad una croce in legno da noi preparata.
Al termine della messa vengono a salutarmi una serie di persone che, nei miei anni, erano studenti e che avevamo aiutato con borse di studio. Passa la Celina Reiti, ha tre bimbe, fra cui due gemelle una si chiama Nasieku (colei che è nata velocemente) e l’altra Naanyu (colei che è stata attesa), si è divisa dal marito e sono in causa dal giudice per l’affidamento dei figli.
Passa poi Marisa Nabiokin, non è mai stata una persona sveglia e nel suo percorso scolastico ha molto tribolato e molto ci ha fatto tribolare, lo ricordiamo e ridiamo insieme di gusto.
Alle 9,30 finalmente riusciamo a partire, ci aspettano a Kisima per la messa successiva, che era programmata per le 9,30!
Arriviamo alle 10,10 e con 40 minuti di ritardo iniziamo la seconda messa. Ci sono anche 56 cresime ed un gruppo di bambini che fanno la prima comunione. La messa scorre liscia accompagnata da una ventina di canti. Dopo le cresime, al posto delle preghiere vengono chiamati gli anziani presenti che pregano con la preghiera tradizionale Samburu (vengono formulate delle richieste e l’assemblea risponde dicendo Nkai che vuol dire Dio, mentre apre e chiude le mani in un gesto che richiama il mungere).
A fine messa i bambini del PMC (Infanzia Missionaria) fanno un canto simpaticissimo e poi una piccola scenetta sul progetto e sulla vita del loro gruppo. Poi discorsi vari e regali, mi donano una casula bianca decorata di perline e conchigliette, a don Valerio regalano una cintura decorata con le perline.
Dopo la messa, di fronte alla chiesa facciamo foto con tutti i vari gruppi ed anche con tante persone singole. Nel frattempo ci salutiamo e ricordiamo insieme episodi del passato che abbiamo condiviso.
Nonostante a Naiborkeju ci aspettino ormai da quasi due ore, andiamo a pranzo in casa parrocchiale. Alle 14, finalmente, riusciamo a partire. In 20 minuti arriviamo. Ci attendono tutti schierati sulla porta della missione. Con canti e danze ci accolgono e ci accompagnano alla porta della Chiesa. La gioia e il calore umano fanno da padroni di questo momento. Stessa intensità e calore emotivo avrà la messa che, come sempre qui, è piena di gioia e di canti in Samburu. L’assemblea è fatta da tante mamme Samburu, la maggioranza di loro non ha studiato e ha sempre vissuto la semplice vita tradizionale di queste terre. Ci sono poi una miriade di bambini che guardano curiosi ciò che accade. Gli uomini qui sono sempre stati pochi, oggi sono in 2 fra cui Allamano che battezzai alcuni anni fa e di cui benedissi anche le nozze. Nell’omelia ricordo con loro quando nel luglio del 2006 inaugurammo la Chiesa che è dedicata al Beato Charles De Foucaud, il cui nome difficile da pronunciare “traducemmo” in Samburu: Charles Lenkima Nairewa (del fuoco caldo).
All’Offertorio cantano in Samburu un canto tradizionale che mi ricorda il battito del cuore, il pulsare della terra. A fine messa, ubriachi di gioia, usciamo di chiesa, per una serie di saluti. Mi regalano una mitria di pelle di capra, è bellissima, con un ricamo di perline con la bandiera del Kenya, fatta in modo molto accurato ma è troppo pesante e faccio fatica a tenerla in testa.
Ci offrono quindi pranzo, il secondo della giornata, e poi sono le 16,30, per cui mi limito a bere una bibita.
Prima di ripartire portiamo don Valerio a visitare una manyatta, la capanna Samburu fatta con pali e poi rivestita di un impasto di fango e letame. È molto buia, dopo aver passato la piccola e bassa porta di ingresso si gira a destra in una sorta di piccolo corridoio nel quale di notte dormono i vitellini o i piccoli delle pecore e capre. Si arriva quindi alla piccola parte centrale in cui c’è il fuoco dentro le tre pietre che fanno da fornello. Alla destra del fuoco c’è la zona notte degli uomini, a sinistra quella delle donne e dei bambini. In pratica è una pelle di vacca poggiata su un letto di frasche che fanno da materasso. Dormono tutti insieme così si scaldano a vicenda.
Alle 17,30 dopo 3 messe e due pranzi, finalmente rientriamo a casa.