coordinamento asti est“Il “Piano città” è una creatura del governo Monti partorita da una legge, la 134 del 7 agosto 2012, in attuazione  dell’art. 12 del Decreto Legge 83/2012. Potremmo considerarlo uno strumento urbanistico, calato dall’alto, direttamente dal Governo ai Comuni, fuori dalla normale programmazione urbanistica territoriale. Una circostanza che meriterebbe una discussione perché, tra l’altro potrebbe sollevare dei problemi di costituzionalità. Un paragone tra il “Piano città” e altri strumenti urbanistici calati più o meno sullo stesso territorio (Asti-Est) dovrebbe venire spontaneo. Il PRU di Praia e il Contratto di Quartiere II, come il Piano città, presentavano finalità di recupero urbanistico e sociale ma, diversamente da quello, erano dotati di un “Piano di accompagnamento sociale”. Con quest’ultimo promuovevano il coinvolgimento attivo (la progettazione partecipata, le scelte consensuali ed altre) dei cittadini destinatari delle finalità e previsioni degli stessi strumenti urbanistici. Ma per fare un paragone ci vorrebbero dei bilanci sociali del PRU e del Contratto di quartiere II. Ci sono ? Considerando i tempi, la consegna delle proposte entro il 5 di ottobre, si è trattato di ”proposte in corsa”, una moderna categoria, una novità che meriterebbe qualche commento. A meno che  fossero già nel cassetto (non è il caso di Asti), escludevano “necessariamente” la possibilità che, prima della consegna, fossero tema di una discussione pubblica; discussione delle loro finalità e delle loro previsioni, anche queste dettate dall’alto. Adesso queste proposte sono 400. La “cabina di regia”, vale a dire l’organismo di nomina ministeriale a cui è affidato il compito di verificare la congruenza delle proposte con le finalità e previsioni  del “Piano Città”, dovrà selezionarne 50 (fonte Il Sole 24 Ore). Il limite è dato dalla  modestia dei finanziamenti disponibili, poco più di 200 milioni di euro, tutti di recupero di vecchi stanziamenti. Ora, se questi tempi hanno messo felicemente alla prova la professionalità e le capacità di lavoro in equipe dei funzionari del Comune, non per questo si deve rinunciare ad un giudizio, considerando tra l’altro che gli unici interlocutori del Comune sono stati “necessariamente” gli “investitori immobiliari”. Ma perché non dire gli speculatori o i percettori di rendita urbana, o i maggiori responsabili del cattivo uso di territorio che ha condotto alla presenti insostenibilità ambientali ? Non è solamente una questione di linguaggio. Se si fa una lettura del “vademecum per la presentazione delle proposte”, messo a disposizione dei funzionari dei Comuni dall’Anci le preoccupazioni e le domande si affollano ancora di più. Vi si legge che le proposte dei Comuni possono adottare meccanismi premiali di volumetria e persino deroghe al Piano Regolatore e la “pronta cantierabilità”, che dovrebbe allontanare il rischio di finanziamenti a pioggia e fuori controllo, insieme agli “effetti moltiplicatori” che dovrebbe avere il finanziamento pubblico, compongono una modalità di intervento che si potrebbe definire “classica”, della famigerata “urbanistica contrattata” che, nella stagione più recente della urbanistica nazionale, ha segnato la resa del potere pubblico al potere del “partito del mattone”. Dopo quella lettura vien voglia di vedere cosa c’è dietro l’enfasi di sindaco ed assessori sul social housing ed in particolare dietro (alla faccia dell’urbanistica partecipata) gli interventi che nella sintesi distribuita durante la conferenza stampa sono indicati con il numero 2 e la dizione “Piazza d’Armi: affrontare l’emergenza abitativa”. Si tratta di nuove costruzioni (alla faccia dello stop al consumo di territorio, sbandierato in campagna elettorale), esattamente tre, per un totale di più di cento alloggi (l’imprecisione è solo casuale ?). Chi sono gli “investitori immobiliari”, in particolare il “Pentagramma Piemonte spa”, che si è attribuito l’intervento più corposo ? Sulla rete si apprende che è una società partecipata al 50% da Fintecna SpA, finanziaria del ministero dell’Economia, e dall’azienda edilizia ed immobiliare GEFIM. Questo investitore chiede 2.665.936 euro di finanziamento pubblico da aggiungere a 6.187.184 euro del proprio. Ma quanto c’è di “privato” in quest’ultima quota di finanziamento, viste le partecipazioni della spa ? Nella sintesi presentata non si dice assolutamente nulla delle convenzioni (ci sono o no) sottoscritte da Comune e investitori. A norma di “vademecum per la presentazione delle proposte” potrebbero comprendere premi in volumetria e deroghe al PRG (ci sono o no) ? In quanto all’emergenza abitativa nella proposta del Comune non c’è assolutamente nulla che metta in relazione più di 100 alloggi a canone sociale o agevolato con il fabbisogno abitativo della città.  La sintesi presentata doveva, a norma di legge e in coerenza con la sua stessa forma, escludere dati e soprattutto analisi, ma un documento allegato, di sintesi, non era vietato da nessuno. Si sa già, in termini generali e per singoli lavori analitici locali e nazionali, che il social housing, oltre che una ottima occasione di investimento per capitali privati o che si fingono tali,  allontanati da altri impieghi dalla crisi in corso, impongono canoni di locazione fuori dalle possibilità di quella folla di famiglie “fuori mercato” che si ingrossa sempre più. E’ quella folla di famiglie che manifesta, nell’emergenza casa, un malessere sociale sempre più diffuso, le cui cause stanno completamente fuori della responsabilità delle stesse famiglie e dello stesso Comune. A meno che il Comune non sia connivente. Tutti gli altri interventi di carattere sociale inclusi nella proposta, in particolare quelli diretti alle Scuole di ogni ordine e grado e in generale alla socialità sono ovviamente positivi, ma non costituiscono il maggior valore, soprattutto economico, della proposta. Sul totale degli investimenti pubblici richiesti, circa 19 milioni di euro, ben 13 milioni di euro vanno sull’area di piazza d’Armi. Sulla stessa area va la quasi totalità degli investimenti privati o presunti tali. E’ un calcolo da ragioniere  ma è quello che può improvvisare un comune cittadino. Se si voleva alzare la rendita fondiaria di quell’area, in ossequio alla regola neoliberista che per fare PIL bisogna mettere in moto il mercato immobiliare, forse bastava dirlo per non avere l’impressione di essere imbrogliati,  per l’ennesima volta e al di là dei bei discorsi”. Coordinamento Asti Est