“I vigneti di Langhe e Monferrato costituscono un esempio eccezionale di interazione dell’uomo con il suo ambiente naturale… Questa frase, estratta dalla motivazione ufficiale del riconoscimento Unesco ai nostri territori viticoli, campeggia sulla Home page del sito web della Provincia di Asti. Il percorso di candidatura alla lista mondiale dei patrimoni dell’umanità è stato lungo ed ha richiesto un notevole lavoro di affinamento delle aree da sottoporre al giudizio finale dell’Unesco. Quello che è stato chiaro fin dall’inizio, e spero che continui ad esserlo anche a riconoscimento avvenuto, è che senza il territorio viticolo nella sua interezza non sarebbe stato possibile l’affermarsi nel tempo delle eccellenze oggi riconosciute come patrimonio mondiale dell’umanità. La nostra attenzione deve essere quindi rivolta all’intero comprensorio Langhe – Roero – Monferrato. Un’area dove solo 30 anni fa si estendevano oltre 70.000 ettari di vigneti e oggi se ne coltivano poco più di 40.000. Un’erosione continua di superficie vitata a favore di gerbidi e noccioleti. I gerbidi si sono fatti strada laddove è proprio cessata l’attività agricola. I noccioleti, soprattutto negli ultimi anni, hanno offerto un’alternativa meno impegnativa dal punto di vista del lavoro e delle spese di gestione in situazioni in cui la viticoltura non dava più prospettive di reddito per diversi motivi, da quelli meramente economici (scarsa remunerazione delle uve) a quelli fitosanitari (flavescenza dorata soprattutto). In molte aree viticole importanti, soprattutto nel Monferrato ma non solo, si sta assistendo ad vero cambiamento di paesaggio. La continua perdita di superficie vitata potrebbe portare nel tempo ad una situazione in cui le “core zone” elevate a “patrimonio mondiale dell’umanità” si trasformano da aree di eccellenza inserite in un contesto più ampio caratterizzato dalla viticoltura ad “isole viticole” incastonate in un ambiente “incolto” o, nell’ipotesi migliore, corilicolo. Nell’uno o nell’altro caso verrebbe meno la condizione che ha condotto al riconoscimento Unesco. Ovviamente esistono pericoli anche maggiori di aggressione all’area riconosciuta, quali ad esempio la cementificazione e la devastazione ambientale legate alla realizzazione di strutture ed infrastrutture di dubbia utilità. Preferisco, in questa sede, occuparmi dell’uso/non uso agricolo dei terreni. Dopo il già citato riconoscimento Unesco si sono moltiplicate le iniziative di Amministratori, Associazioni e varia umanità, finalizzate spesso ad “appendere il cappello” al prestigioso attacapanni e a dissertare sulle sorti “magnifiche e progressive” dei territori certificati. Credo sarebbe più importante cominciare ad occuparsi di come conservare nel tempo l’insieme del territorio viticolo di Langhe –Roero e Monferrato che ha consentito di poter individuare al suo interno delle aree di eccellenza. In Urbanistica esiste il concetto di “Perequazione”, si tratta di uno strumento utile a promuovere e governare gli interventi di trasformazione urbana, per ottenere un beneficio collettivo ripartendo equamente i vantaggi e gli svantaggi degli interventi proposti. Nel moderno marketing enologico si dice che una parte del valore aggiunto nel prezzo finale della “bottiglia” sia la “vendita” del territorio da cui quel prodotto trae origine. Se il territorio che ha fatto la fortuna dei nostri “gioielli enologici” è, come io credo, l’intero comprensorio Langhe – Roero e Monferrato, allora potrebbe essere utile mutuare anche nel settore vitivinicolo il concetto di perequazione. Uno strumento attarverso il quale costruire, con un piccolo prelievo sulle fascette delle Docg che godono di miglior mercato (Barolo, Barbaresco, Asti), un “fondo di solidarietà territoriale” destinato a creare migliori condizioni di vendita per i vini piemontesi, e per i produtori viticoli, meno fortunati. Un modo per ridistribuire, almeno parzialmente, i vantaggi dell’appartenenza ad un territorio vitivinicolo internazionalmente riconosciuto. Capisco che la proposta di primo acchito possa sembrare una provocazione, in realtà vuole essere l’avvio di una discussione per arrivare attraverso il confronto con altre proposte, sicuramente più intelligenti, ad una strategia di conservazione nel tempo di un patrimonio che ha dato reddito a migliaia di famiglie contadine. Il lavoro, spesso duro, di generazioni di contadini che ci hanno preceduto ci ha lasciato in eredità il paesaggio vitivinicolo e la cultura enologica oggi riconosciuti al massimo livello. Bisogna creare le condizioni perché anche i nostri figli e i nostri nipoti possano ricavare reddito e cittadinanza da questo territorio, per poterlo a loro volta tramandare ai posteri”. Giovanni Pensabene