“Il social housing, l’ultima frontiera del mercato immobiliare. La filantropia, l’ultima frontiera delle politiche sociali del Comune di Asti. Le due notizie sono arrivate ai giornali quasi contemporaneamente. Prima l’apertura del bando Atc per la case popolari. Il giorno dopo, la realizzazione di 72 alloggi di social housing in piazza d’Armi. Sono state date senza alcun approfondimento, in modo che il nesso tra i fatti a cui si riferiscono risultasse opportunamente oscurato. Proviamo a farlo noi questo approfondimento, considerando che i fatti hanno valenza nazionale. Per la prima volta nella storia dell’edilizia residenziale pubblica (erp), con un bisogno abitativo mai così insoddisfatto, viene aperto un bando Atc (quadriennale) con una disponibilità di case popolari ridotta all’esaurimento. Una trentina di alloggi di “risulta” ogni anno, più 32 disponibili tra due anni dopo la riattivazione di un cantiere, in via Ungaretti, fermo per il fallimento dell’impresa. Perché questa residualità? Semplice. Perché la legislazione più recente, ma ricca di precedenti (abolizione della Gescal e dell’Equo Canone), ha messo fine alla edilizia popolare e pubblica finanziata interamente dallo Stato (edilizia sovvenzionata). Basta. Non si costruiranno più case popolari. Quelle di più remota costruzione, lasciate vuote al degrado, saranno vendute, quelle recuperabili con un minimo di manutenzione, insieme alle rimanenti di più recente costruzione, costituiranno il patrimonio edilizio di Agenzie per la casa, private di un una vera missione sociale e attraversate da fenomeni corruttivi. Insomma il trionfo dell’idea che solo il mercato può rispondere nazionalmente ed equamente ai bisogni, quello abitativo compreso. Il social housing di piazza d’Armi, sta nello stesso ordine mercantile del discorso. Per la prima volta, ad Asti, un progetto di social housing, vale a dire di una edilizia, assistita dallo Stato ma promossa da Cooperative, imprese di costruzioni, istituti bancari e assicurativi, non ha una funzione complementare, bensì sostitutiva, della funzione abitativa dell’erp. Sostituisce e privatizza quella funzione, perché costruisce prevalentemente per il mercato delle locazioni (secondo le regole della legge 431). In questo senso il social housing costituisce l’ultima frontiera del mercato immobiliare. Ma è una frontiera socialmente iniqua e, in questa situazione di crisi perdurante, deve considerarsi temeraria. Da una parte le persone e famiglie che hanno ancora un reddito garantito, vale a dire il principale requisito per accedere al social housing e sottoscrivere un regolare contratto di locazione a canone leggermente calmierato. La cosiddetta fascia grigia del bisogno abitativo insoddisfatto. Dall’altra parte le persone e famiglie con redditi prossimi allo zero o variamente precari, che hanno solo i requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica. Vale a dire quella parte di popolazione, in continua crescita, che subisce senza alternative il peggio della presente crisi. Potremmo definirla per analogia con la precedente, la fascia nera del bisogno abitativo insoddisfatto; quella entro cui sono nate, necessariamente, le “occupazioni” (quattro ad Asti, la prima sei anni fa). Il nesso tra le due notizie, e i due processi sociali che sottendono, dovrebbe a questo punto risultare evidente. Ma dovrebbe altresì risultare evidente il ruolo dell’Amministrazione, del partito del mattone, di tutti quelli che continuano a pensare che, superata l’emergenza con massicce dosi di filantropia, tutto tornerà come prima. Insomma i vecchi protagonisti delle peggiori politiche di gestione del territorio, adesso tenaci fautori delle politiche di austerità. E’ in questo scenario che si è conclusa nei giorni scorsi la procedura di sfratto di una famiglia con due minori non ancora in età scolare. Quale è stato l’intervento dell’Assessorato ai Servizi Sociali? In sintesi: prima dell’inserimento della famiglia nell’elenco delle emergenze abitative, poi soldi al padrone di casa perché concedesse due rinvii, infine la famiglia separata, per un tempo indefinito, in due centri di accoglienza. Il padre da una parte (dormitorio), la madre e i bambini dall’altra (un centro di accoglienza). Nell’anno della misericordia e della celebrazione della sacralità del matrimonio”. Carlo Sottile e Michele Clemente, Coordinamento Asti Est