Un evento di formazione dedicato al giornalismo costruttivo “nell’era dei disastri e delle fake news”: si è svolto martedì, ad Astiss, su iniziativa del direttore della Gazzetta d’Asti don Dino Barberis.
Al tavolo dei relatori Silvio Malvolti, giornalista ed editore, presidente dell’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, e Martina Fragale, giornalista freelance e docente.
“Vent’anni fa – ha spiegato Malvolti – la rivoluzione digitale ha cambiato i modelli di business: pian piano la professione di giornalista si è trasformata in una routine. Le edicole in italia si sono più che dimezzate, molte redazioni sono state chiuse. Ma soprattutto, abbiamo assistito a una grave perdita di fiducia nella nostra professione e a un’emorragia di lettori e spettatori dell’informazione.

Perché “se non è una cattiva notizia, non è una notizia”. I moniti, nel tempo, sono stati tantissimi, fino a Papa Francesco che, nel 2017, ha chiesto di “spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle ‘cattive notizie’ (guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di fallimento nelle vicende umane)”.
“Le persone ormai trovano solo cattive notizie tra le pagine dei giornali, in Tv, su internet – ha proseguito Malvolti – e questo porta a una percezione distorta della realtà. Si pensi che da una ricerca condotta 10 anni fa con l’Università Cattolica di Milano, l’impatto dei mass media sulle persone risulta essere la prima causa di ansia e depressione e ci costa 200 euro pro-capite in spese mediche per curare questi disturbi”.

Come invertire la rotta? È stato Carl Bernstein, autore, insieme a Bob Woodward, dell’inchiesta del Washington Post del 1972 che portò all’ impeachement l’allora presidente USA Richard Nixon, a dire che ciò che un’indagine giornalistica può fare è offrirci “la migliore versione ottenibile della verità”. L’informazione può essere pericolosa, ed è per questa ragione che al giornalismo della paura si può sostituire quello delle soluzioni.

Ed ecco la proposta del giornalismo costruttivo: “Un modo diverso di fare del buon giornalismo – hanno spiegato i due relatori – allo stesso tempo critico sul problema ma propositivo verso le possibili soluzioni, in grado di spingere i lettori a riconoscere anche il cambiamento”.

Se un bias negativo ha come effetti, sui fruitori dell’informazione, ansia, senso di impotenza, disperazione, pessimismo, disimpegno, depressione e divisione sociale, il giornalismo costruttivo riduce l’ansia, la disperazione, il pessimismo, la sfiducia negli altri, dà consapevolezza delle proprie reali possibilità di incidere sulla realtà.
Il giornalismo costruttivo insomma, risponde alla richiesta di contenuti di qualità che abbiano un impatto positivo sulla società.
Gli strumenti di questo modello giornalistico, focus dell’intervento di Martina Fragale, sono un nutrito set di dati, attenzione alle soluzioni e alla loro scalabilità.

Questi strumenti si possono applicare ai diversi tipi di notizie negative da cui siamo bombardati: dalle catastrofi naturali alla cronaca nera, dalle malattie ai cambiamenti climatici. Diverse le case history segnalate da Fragale. In tutte un punto in comune: “la necessità di risalire alla reale missione del giornalismo, di parlare alla testa e non alla pancia, di portare delle soluzioni fino a mobilitare il fruitore delle notizie, a ridare alle persone il senso di poter fare la propria parte per cambiare le cose”.