Eccoli qui i delfini, le balenottere, i capodogli e il sirenide tanto attesi che, tre milioni di anni fa, nuotavano nel Mare Padano: 145 reperti fossili, affiorati nell’Ottocento in terra astigiana e arrivati da qualche giorno al Museo Paleontologico cittadino dopo essere stati custoditi per più di un secolo a Torino.

Accolti con grande soddisfazione a Palazzo del Michelerio: “Insieme ai cetacei fossili che già esponiamo – spiega Piero Damarco, paleontologo e conservatore del museo – i nuovi reperti andranno a comporre una delle raccolte più importanti al mondo. Tra loro ci sono anche gli olotipi, esemplari che descrivono le caratteristiche di una nuova specie. Si tratta di un’acquisizione di grande rilevanza scientifica che rende ancora più qualificante il nostro progetto di costituire ad Asti il Centro Studi sui cetacei fossili piemontesi”.

L’origine dei reperti, conservati finora al Museo Regionale di Scienze Naturali e appartenenti al Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Torino, coinvolge numerosi comuni che aderiscono al Distretto Paleontologico dell’Astigiano e del Monferrato.

Tra gli esemplari più significativi dal punto di vista scientifico si distinguono tre scheletri parziali di balenottere ritrovati a Cortandone, Montafia e nella sua frazione di Bagnasco. Sempre da Bagnasco e da Cortandone provengono due dei quattro scheletri di delfini, diversi uno dall’altro, da poco rientrati da Torino; altri due esemplari sono stati ritrovati a Camerano Casasco e a San Damiano (località Cà Lunga).

Valmontasca, frazione di Vigliano che ha visto riemergere nella metà del Novecento la Viglianotterra (balenottera di sette metri che costituisce uno dei maggior richiami del Museo dei fossili), ora può vantare anche la colonna vertebrale di un capodoglio. Resti fossili di delfino hanno come provenienza Valleandona, il cui territorio rientra nella Riserva naturale, Montegrosso, dove le mani dell’uomo hanno ritrovato un cranio, e Baldichieri, da cui provengono denti ben conservati.

Curioso il sirenide, imparentato a mammiferi marini come il dugongo, di cui è stata rinvenuta, a Montiglio, una parte di scheletro con vertebre. E poi altre scoperte a Penango, Tonco, Casale e Rosignano Monferrato.

“Una collezione preziosa – ricorda Damarco – che si è originata nel corso dell’Ottocento per poi essere studiata a partire dal 1874 e venire catalogata nel 1885 dal professor Alessandro Portis”.

“Molti di questi reperti – sottolinea Gianfranco Miroglio, presidente del Parco Paleontologico Astigiano – sono di straordinaria bellezza, ci hanno trasmesso emozione appena usciti dalle casse, ancora avvolti nei teli di nylon. Conserveremo questo patrimonio di inestimabile valore nel deposito del museo, in attesa dell’avvio dei lavori di restauro dell’ex chiesa del Gesù, dove contiamo di esporli in futuro”. Proprio per l’importanza che rivestono, i reperti sono stati analizzati in passato da studiosi di fama internazionale: accanto agli italiani, esperti di cetacei giapponesi, americani, tedeschi, belgi e olandesi.