“I locali sono vuoti, le strade deserte, di feste non si parla più, la parola discoteca è scomparsa dal vocabolario. Ufficialmente non c’è nessun lockdown, ma nelle nostre città vagano infreddoliti e mogi solo adulti che raggiungono il posto di lavoro”. Mi trovavo a Bruxelles quando ho letto questo stralcio da un articolo di un quotidiano nazionale italiano. Era gennaio di quest’anno.

Uscivo quasi ogni sera, nonostante avessi gli esami all’Université Libre de Bruxelles, dove ho studiato per alcuni mesi. Di recente ero guarito dal covid e i 10 giorni di isolamento che mi erano sembrati un’eternità erano finiti da qualche settimana. In me era scattato un bisogno irrefrenabile di incontrare persone, di essere costantemente attivo. A Bruxelles i bar erano sempre pieni, e quando non lo erano il motivo era che il basso livello di vaccinazione della città aiutava molto la circolazione del covid, che con la variante Omicron colpiva anche i vaccinati, e di conseguenza aumentavano i positivi.

A leggere quelle parole sembrava che in Italia si fosse creato un clima da “Io sono leggenda”. Desolazione e bar chiusi con l’insegna penzoloni, tutti a casa. Mi chiedevo perché mai i giovani italiani dovessero comportarsi in maniera così diversa dai fratelli belga. A dirla tutta, non ci ho mai creduto molto. 

Non mi sembrava una fotografia attendibile dei giovani. Così ho deciso di scoprire se avevo ragione.

Non ci sono dubbi sul fatto che gli ultimi due anni abbiano lasciato segni dal punto di vista psicologico sui giovani. 

Non che non li abbia lasciati anche su tutti gli altri, ma è indubbio che sono le nostre generazioni quelle che, per l’età che hanno, vivono la socialità in modo più attivo. Essere forzati a stare a casa da soli, o da soli con la propria famiglia, ha limitato i contatti interpersonali di tutti noi. Quello che però non mi è mai stato chiaro, è quanto gli effetti dei ripetuti isolamenti e della situazione di ansia provocata dalla pandemia abbia avuto influenza a lungo termine sulle vite delle persone. In particolare dei miei coetanei. 

Questa rubrica, che avremo ogni due settimane, servirà ad analizzare scientificamente il problema e a dare spazio alle testimonianze di giovani con storie diverse e con esperienze dell’isolamento differenti. Interverranno psicologi, professori, politici e professionisti. L’obiettivo è inquadrare in maniera rigorosa la tematica della salute mentale post pandemica, lasciando parlare gli esperti. Al quadro generale e scientifico saranno poi affiancate le storie peculiari di chi ha vissuto sulla propria pelle i periodi di isolamento, ne ha sofferto o è riuscito a superarli. Sarà preziosa la partecipazione di tutti, anche anonima, specialmente di chi si sente particolarmente toccato dagli effetti dell’isolamento. Per farlo, potete contattarmi alla mia mail 98danibussi@gmail.com e lasciarmi la vostra testimonianza.

Partiamo intanto con il primo intervento. Approfondiamo con la dottoressa Anna Pisterzi, psicologa e psicoterapeuta, come l’isolamento ha inciso sulla salute mentale degli individui più fragili.

L’intervista sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 6 maggio 2022

Danilo Bussi