Roberta Menin, astigiana di 36 anni, è una delle italiane di Wuhan. Con il marito Domenico Di Bartolomeo, sei anni fa nella metropoli cinese ha aperto il ristorante “Noi Mediterraneo”. Mamma di Martina, 22 mesi, ha dovuto lasciare la Cina il 1° febbraio, rimanendo poi in quarantena in Francia, in un accademia dei vigili del Fuoco di Aix-en-Provence, fino al 15 febbraio.

Ci racconti la sua esperienza? Come è nato l’allarme in Cina? Come avete vissuto i primi giorni?
In realtà è stato tutto molto graduale. Inizialmente non avevamo percepito la gravità della situazione. Dai primi giorni di gennaio abbiamo capito che qualcosa stava succedendo, ma non si parlava ancora di Coronavirus. Il primo campanello di allarme è stata la chiusura di un famoso mercato, dove anche noi come ristorante ci rifornivamo, Era il 1 gennaio, ma non pensavamo certo a nulla di grave. Poi hanno cominciato a chiudere gli aeroporti, la metro, i ponti e il resto… E’ solo a quel punto che abbiamo cominciato ad avere una percezione corretta della situazione. C’è stato un giorno, il 23 gennaio, quando c’è stato il lockdown degli aeroporti e di tutti i trasporti pubblici… ecco in quel momento abbiamo capito e allora abbiamo chiuso il nostro ristorante. In realtà qualche timore c’era già da prima, tanto che io avevo comprato un volo per l’Italia che doveva partire il 25 gennaio, ma poi tutti i voli sono stati cancellati. Per nostra scelta abbiamo deciso di stare chiusi in casa, sempre a diretto contatto con l’Ambasciata Italiana. In quei giorni i nostri amici ci portavano da mangiare a casa e abbiamo sentito una forte solidarietà. Proprio dal 23 sono cominciati giorni convulsi in cui abbiamo preparato la nostra partenza. In accordo con l’ambasciata stessa ci siamo iscritti su tre liste, quella americana visto che mia figlia ha il passaporto statunitense, quella di un volo che raccoglieva diversi cittadini della comunità europea messo a disposizione dell’ambasciata francese e quella italia. Siamo così partiti sul primo volo disponibile, quello per la Francia, appena poche ore prima degli italiani. Era il 1° febbraio.

Poi la quarantena in Francia in un’accademia dei vigili del fuoco ad Aix-en-Provence…
E’ stata un’esperienza contemporaneamente molto “clinica”, ma anche umana. I vigili del fuoco e i volontari sono stati molto disponibili e questo, l’aspetto umano appunto, ha reso le nostre giornate molto più facili. Il mio è un feedback positivo. A livello clinico, siamo subito stati sottoposti ai test per capire se avevamo contratto il Coronavirus, ma i tamponi sono risultati negativi e questi accertamenti sono stati ripetuti parecchie volte. Lì eravamo circa una sessantina, dovevamo usare le mascherine e i contatti erano molto limitati. Noi avevamo una nostra stanza con bagno, poi c’era la mensa e persino uno spazio dove far giocare Martina. Le famiglie dei vigili del fuoco hanno donato libri e giochi per poter fare distrarre i bambini e questo ha reso tutto più facile. Personalmente ho impiegato questo tempo per concentrarmi su un mio progetto e per rendere il più possibile “normale” questa esperienza per Martina. Ho sempre cercato di rispettare la nostra routine, svegliandoci alla stessa ora, facendo colazione sempre al medesimo orario, continuando quelle che erano le nostre abitudini. Penso infatti che se avessimo perso la nostra routine a livello psicologico sarebbe stato molto più difficile. Ma non è stato comunque semplice.

Adesso siete in Italia. Quali sono i suoi piani per il futuro?
Siamo arrivati in Italia il 16 febbraio e siamo tornati a casa dai nonni a Rocca d’Arazzo. Adesso le giornate sono fatte di coccole e vizi. I nonni si dedicano completamente a Martina e io e Domenico ci stiamo riposando. Rimaniamo però sempre in stretto contatto con la realtà che abbiamo lasciato e con i nostri amici. Piani? Parliamo piuttosto di speranze. La priorità è che il Coronavirus venga debellato. Per il resto è impossibile fare programmi. Il governo cinese ha comunicato che il 10 marzo Wuhan riaprirà, ma non sappiamo se sarà così. La speranza è quella di poter riprendere la nostra vita in mano, compresa quella lavorativa.

L’intervista completa sulla Gazzetta d’Asti in edicola venerdì 28 febbraio 2020.