“Il Santo Padre ha dettato la strada con i fatti indicando don Marco proprio in virtù del suo impegno dalla parte degli ultimi e degli scartati ai quali ha portato sostegno, aiuto e speranza”. Sono le parole di monsignor Cesare Nosiglia, vescovo di Torino, che ben delineano la personalità e la caratura di don Marco Prastaro nominato alla guida della chiesa di Asti.
Pisano per caso, ma torinese per scelte di vita, 55 anni, è stato a lungo un missionario; dal 1999 al 2010 è stato in Africa e al suo rientrato ha diretto l’ufficio missionario diocesano. Tratti di umiltà e impegno verso gli ultimi che si avvicinano molto allo “stile” Bergoglio.
E lo dimostrano anche i due primi moti che lo hanno investito quando il 1° agosto ha saputo che il Santo Padre aveva scelto proprio lui.
“Ho provato due sentimenti che ancora insieme convivono in me. Da una parte un senso di gratitudine per la fiducia che papa Francesco e la Chiesa hanno riposto nella mia persona, dall’altra anche un forte senso di smarrimento per dover affrontare una responsabilità maggiore, ma anche di spavento. Mi sono chiesto se sarò capace e cosa cambierà della mia vita”.
Ma come è andata? Si aspettava questa nomina?
“Nell’aria qualcosa c’era, ho intuito che si stesse muovendo qualche meccanismo. Poi il 1° agosto ho ricevuto la telefonata del nunzio apostolico che mi invitava a Roma. Dopo i primi momenti mi sono chiesto chi mi insegnerà a fare questo mestiere, poi mi sono risposto che lo imparerò strada facendo, con l’aiuto di tutti”.
Conosceva la nostra Diocesi?
“No, ma la mia famiglia è di Chieri. In bicicletta ho fatto qualche giro fra le colline che spero di poter continuare a fare. Ho incontrato alcune volte il vescovo Francesco Ravinale, un uomo e una guida capace e generosa, ma non ho avuto fino ad ora molti contatti con la Diocesi di Asti”.
Un primo messaggio per la sua nuova Diocesi.
“Voglio stringere un patto di natura affettiva con gli astigiani; il Signore ci ha messo insieme su questo cammino. Ho parlato di patto, di un impegno per diventare famiglia, per lavorare insieme e volerci bene. Ma la gente pensa che il vescovo sappia tutto; non è così. Anche questo è un mestiere da imparare. Chiedo quindi di pregare per me in questo momento e di accettarmi per quello che sono”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 31 agosto 2018