Carlo Ratti, architetto e ingegnere, che ha fondato lo studio Cra a Torino e New York e dirige il Senseable City Lab presso il Mit di Boston, offre una panoramica e una riflessione quanto mai all’ordine del giorno sulle grandi sfide dell’architettura della nostra epoca, dal cambiamento climatico alla segregazione urbana, dall’integrazione tra mondo artificiale e mondo naturale agli scenari delle pianificazioni urbane di domani. 

Che cosa si intende per “Senseable city” e quali connotazioni differenziano questa definizione da “Smart city”?

“La parola “senseable” combina due termini inglesi per indicare una città allo stesso tempo sensibile ai bisogni dei cittadini e capace di sentire: è un concetto che preferiamo a quello più comune di Smart City, che invece relega la città a un mero accidente tecnologico. Le applicazioni della Senseable City sono molteplici – dalla mobilità al consumo energetico, dall’inquinamento allo smaltimento dei rifiuti, dalla pianificazione urbana alla partecipazione civica. Questo approccio è alla base delle ricerche che portiamo avanti sia con il Mit Senseable City Lab che dirigo a Boston, sia con lo studio internazionale di design e innovazione Cra – Carlo Ratti Associati con base a Torino e New York”. 

In che modo oggi si concepisce e si progetta lo spazio verde all’interno delle aree urbane? E quale ruolo e importanza riveste oggi il “verde” nei piani urbanistici?

“Nel secolo scorso le città si sono allargate fino ad invadere la campagna – in ultima analisi distruggendola. Oggi direi che la sfida è di segno opposto: riportare più natura all’interno delle nostre città. E’ quello che stiamo cercando di fare con due progetti che segneranno il futuro di Milano: il distretto dell’innovazione Mind sull’ex-sito di Expo 2015 e la trasformazione dello scalo ferroviario di Porta Romana. Oppure con il grattacielo Capita Spring nel cuore di Singapore. Aggiungo un punto importante. Credo che oggi il consumo di suolo vada assolutamente fermato – soprattutto in aree come l’Astigiano. Basta villette e capannoni! D’altronde se la popolazione non cresce e gli standard abitativi non cambiano (anzi, per effetto della crisi la superficie pro capite delle abitazioni potrebbe ridursi), non si può più pensare a espandere le aree urbane come nel secolo scorso: oltre a consumare inutilmente territorio vergine (greenfield, come si dice in inglese) ciò si traduce inevitabilmente nello svuotamento delle aree già edificate, esponendole al rischio del degrado. Fondamentale invece riqualificare aree già costruite, se necessario correggendo gli errori del secolo passato”.

Come si configura la partecipazione civica nei processi di pianificazione e sviluppo urbani?

“Le tecnologie della rete ci permettono di coinvolgere i cittadini in modi nuovi. Di conseguenza l’architetto deve smettere i panni dell’“eroico solista” – come spesso è stato nel corso del Novecento – e proporsi invece come “architetto corale”, capace di armonizzare diverse voci”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 12 novembre 2021

Federica Bassignana