fausta garaviniDa oggi a domenica prossima pubblicheremo ogni giorno una breve intervista agli scrittori in concorso per l’edizione 2013 del Premio Asti d’Appello. A tutti abbiamo fatto le stesse domande. Iniziamo da Fausta Garavini, , finalista al Premio Bagutta con “Storie di donne”, edizioni Bompiani. Come descriverebbe il suo libro, “Storie di donne”? “Come dice il titolo, sono prevalentemente storie di donne. I quindici racconti hanno un denominatore comune che dà unità e compattezza alla raccolta: ognuna di queste donne cerca di  cavarsela da sola nella vita, senza chiedere a un uomo di renderle il mondo abitabile. Ma  ci sono, caso per caso,  i legami ancestrali, il valore dell’amicizia, i rapporti madre-figlia, le incomprensioni e i pentimenti, gli echi del passato nel mondo di oggi  in cui si proiettano le paure e i desideri di ogni donna contemporanea. C’è anche, e ci tengo molto, una certa idea della scrittura che oggi mi sembra trascurata e vilipesa”. Qual è la sua esperienza e il suo giudizio sui premi letterari in Italia? “Apprezzo soltanto i premi letterari  dove c’è una giuria di lettori che giudicano senza  essere sottoposti a pressioni  o influenze di vario tipo. Gli altri premi interessano l’editore che deve vendere. Per quanto mi riguarda, i meccanismi sono talmente inquinati, e gli esiti tanto spesso indipendenti dalla qualità, che vincere è solo un fatto di mondanità letteraria da cui amo tenermi lontana”. Cosa pensa degli altri scrittori in concorso e del Premio Asti d’Appello? “Devo confessare di non aver letto nemmeno uno degli autori coinvolti quest’anno, benché conosca alcuni nomi. Non è per disinteresse: semplicemente la mia vita professionale mi ha portato a leggere soprattutto autori stranieri e non sono al corrente della nostra letteratura contemporanea. Apprezzo, per i motivi detti sopra, la serietà del  premio Asti d’Appello. L’apprezzerei ancora di più senza la clausola del regolamento che chiede all’autore di “difendere” la propria opera. So che oggi è necessaria la “visibilità” (orrenda parola), ma preferivo i tempi  passati  in cui gli scrittori  erano soltanto scrittori, e non erano obbligati ad esibirsi come gente di spettacolo per farsi conoscere”. Marianna Natale   storie di donne