calabresi“Se il giornalista vuole che la sua professione sopravviva deve fare qualcosa di utile”: con questa “ricetta”, suggerita da Beppe Severgnini nel primo incontro di Passepartout e articolata domenica sera da Mario Calabresi nel corso del suo intervento, si chiude l’edizione 2014 della rassegna organizzata dalla Biblioteca Astense attorno al “Sesto potere”.

Il direttore del quotidiano La Stampa, con sguardo semplice e chiaro, ha proposto una lettura delle attuali difficoltà dell’informazione (“Il concorrente vero di un giornale non è un altro giornale ma l’uso alternativo del tempo libero”) e ha tentato di dare una risposta che, sorpresa, non implica la creazione di un nuovo modello economico ma si basa interamente sui contenuti.

La transizione da old media a new media, da tv e giornali a web e social network è rapidissima e inarrestabile. Gianni Riotta sostiene che si debbano usare la ricchezza enorme di comunicazione, i contatti, i mondi che apre il digitale senza dimenticare la serietà, il professionismo, la lealtà, la tolleranza: usa la formula “new media, old values”. Partiamo da qui.

“Oggi ci si sta preoccupando troppo di essere aggiornati rispetto a tutte le nuove tecnologie, di essere al passo dell’ultimo gadget tecnologico, dimenticando il reale valore dei contenuti. Non ha senso essere dotati del mezzo più potente se non lo si sa usare, anzi può essere controproducente perché si diventa iperesposti e un errore, commesso di fronte a pubblici esperti, può costare carissimo. A mio avviso il giornalismo ha ancora un senso forte se riesce a fare una differenza anche piccola nella vita delle persone, se è in grado di dar loro qualcosa di cui parlare a tavola, al lavoro, al bar. Ma la credibilità e l’affidabilità sono la base”.

Quale tipo di contenuto può essere sensibile per un lettore?

“Qualcosa di cui si senta parte, che parli della sua vita reale. Elementi di servizio, di inchiesta. In questi ultimi anni, come conferma un recente rapporto della Reuters, siamo passati da un giornalismo che si consumava negli orari canonici colazione, pranzo e cena a un giornalismo che è un eterno happy hour, “sbocconcellato” qua e là e in qualsiasi momento della giornata: ma sono convinto che se diamo al lettore un ottimo pasto, ben cucinato, possiamo ugualmente conquistarlo. Per fare questo gli ingredienti fondamentali sono l’utilità, il controllo delle fonti, la creazione di un valore, la risposta a un perché. Non bisogna parlare alle pance delle persone ma analizzare le situazioni”.

 

Dal rapporto sull’innovazione e sulla strategia digitale del New York Times diffuso nei giorni scorsi emergono delle interessanti analogie tra le problematiche di un grande giornale e quelle di una piccola redazione di provincia…

“Ho pensato la stessa cosa: quasi con piacere ho scoperto dei tratti comuni, specie nell’incapacità di valorizzare ciò che abbiamo e nella fortissima resistenza al cambiamento di una redazione che si confronta con le sfide del digitale e allo stesso tempo ha ancora di fronte un vecchio modello. E’ incredibile come molti giornalisti che continuamente raccontano la crisi e l’inevitabilità del cambiamento nella vita comune, nella politica, nei governi poi all’atto pratico si dimostrino così conservatori nelle questioni che li riguardano direttamente”.

Il testo completo dell’intervista sulla Gazzetta d’Asti in edicola a partire da venerdì 20 giugno.

Marianna Natale