Hanno parlato di doping con il calciatore Matteo Paro, di razzismo con la ricercatrice Nicoletta Fasano, di Fabrizio De André con l’inviato della Stampa Marco Neirotti e l’esperto di musica Franco Testore, ma l’incontro più toccante è stato quello con Ombretta Fassone, madre di un ragazzo astigiano morto di droga e scrittrice con “Piccola idea”.
Per i detenuti della Casa Circondariale di Quarto si è da poco concluso “Viaggio intorno alla mia stanza”, promosso dalla Direzione dell’istituto insieme all’Associazione culturale Comunica e alla Provincia (Assessorato alle Politiche Sociali). Per un anno i partecipanti al laboratorio, condotto dalla giornalista Laura Nosenzo, hanno approfondito ogni mese un tema di attualità: prima di incontrare l’ospite, lettura di libri e giornali, visione di filmati, analisi delle proprie esperienze personali.
Il tema della salute in carcere è stato trattato con i medici del “Cardinal Massaia” Cesare Bolla e Paolo Crivelli, con cui si è parlato di malattie infettive e di Aids, e con Maurizio Ruschena, direttore del Dipartimento delle Dipendenze dell’Asl AT. Altri temi hanno riguardato le nuove povertà e i meccanismi dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina, la sicurezza sul lavoro, la donazione di organi, la raccolta differenziata e il caso di inquinamento alle falde di San Fedele, la solidarietà e la storia del Banco alimentare.
Il tratto innovativo del progetto è stato rappresentato dalla lettura della Costituzione e dalla riscrittura dei detenuti “a modo loro”, con un’analisi cioè sui diritti e i doveri nella realtà carceraria che li ospita. 
Viaggio intorno alla mia stanza – commenta Domenico Minervini, direttore della Casa Circondariale – ha registrato un buon coinvolgimento dei detenuti perché, per tutti i temi trattati, ha messo al centro la testimonianza personale degli ospiti, favorendo così la comprensione di questioni particolarmente impegnative. Oggi i reclusi sono sicuramente più informati e hanno un’idea più precisa della realtà che li circonda e che li accoglierà una volta tornati in libertà”.
Il progetto ha coinvolto soggetti sia italiani che stranieri (marocchini, rumeni, albanesi, tunisini, cingalesi e colombiani) tra i 23 e i 47 anni.