Il titolo è provocatorio ma non può che evocare l’ambiente missionario da cui nasce. Il sottotitolo invece definisce i protagonisti di un incontro. “La mia missione” indica non solo la figura di Marco Prastaro missionario fidei donum con la sua storia e le sue motivazioni, che traspaiono in ogni pagina del libro, ma anche la Chiesa e il Vangelo che attraverso di lui vanno ad incontrare un popolo. Il secondo protagonista sono “i Samburu del Kenya”, in un’area geografica ben precisa (il Kenya del nord) con centro a Lodokejek. E, come in ogni incontro, c’è qualcosa da portare e qualcosa da ricevere. Si porta il Vangelo, o almeno l’esperienza di Vangelo che uno ha maturato e si riceve lo stesso Vangelo ma diverso da prima, trasformato dal modo con cui è stato fatto proprio da quella gente. Se si ragionasse in termini spirituali, si dovrebbe dire che si porta il Signore e si scopre che era già arrivato, ci aveva preceduto per entrare in relazione con noi che pensavamo di essere i trasmettitori.

Sul piano culturale invece è proprio il titolo del libro a inquadrare la situazione. Si parla di donne, perchè, come dice l’autore nell’introduzione “in esse è riposto il futuro del popolo samburu. Ho iniziato con loro perchè sono abitate da una forza di vita sempre sorprendente, perchè in esse troviamo una capacità di vedere al di là delle apaprenzae e di sentire che cosa passa nel cuore delle persone (…) Le donne, quelle che ho incontrato in Kenya, sono innervate da una forza inarrestabile che le rende capaci di superare le più grnadi ingiustizie e i dolori più profondi” . Il libro è dedicato Giovanni Giacometti, ora defunto, con cui Marco Prastaro ha condiviso gli anni di missione. E’ anche corredato da pagine fotografiche che ci portano lontano.