Proprio alla vigilia della Settimana Santa la congregazione dei Legionari di Cristo ha pubblicato la Relazione 2020 “Fare verità, fare giustizia, sanare” che riassume i passi seguiti nell’aiuto alle vittime di abuso sessuale e nello sviluppo di Ambienti Sicuri. In essa sono spiegate anche le ragioni per cui sono stati resi pubblici i nomi dei sacerdoti della Congregazione che hanno commesso abusi su minori. Nella nostra Diocesi ai Legionari di Cristo sono affidate le parrocchie di Isola, Isola Villa e Repergo e recentemente anche quelle di Motta, Sant’Anna e Santa Margherita. Abbiamo intervistato padre Lauro Vattuone e padre Gerardo Bouzada per raccogliere il loro pensiero.

Che cosa avete pensato quando avete saputo che la vostra congregazione avrebbe fatto il gesto di rendere pubblici i nomi dei sacerdoti sotto accusa per abusi sessuali e avrebbe chiesto perdono alle vittime?

P. Lauro: “Io sono stato soddisfatto in quanto era un ulteriore passo in avanti di un cammino già iniziato in precedenza. Ho anche pensato che un situazione del genere fosse un richiamo del Signore ad affrontare un problema che affligge l’umanità e del quale non c’era (e forse non c’è ancora) sufficiente consapevolezza. Un po’ come nei confronti della schiavitù prima considerata normale e poi compresa nella sua efferatezza. Lo considero un punto di non ritorno, un po’ come il dialogo ecumenico: affare di tutti, dal momento che la maggior parte degli abusi nei confronti dei minori avviene in famiglia”. 

P. Gerardo: “Io ho provato due sentimenti insieme. Da una parte la tristezza per il male provocato e dall’altra la gioia per un passo così coraggioso. Una decisione simile ci riavvicina alle vittime affinché si sentano protette e capite e segna la volontà di riparare e di espiare. E’ come quando in famiglia ci sono dei problemi seri e non si cerca di nasconderli ma di uscirne insieme. La fiducia nasce dalla verità”.

Ricordate invece le reazioni che avete avuto quando è uscito fuori tutto questo pandemonio, in particolare al pensiero che il fondatore stesso fosse coinvolto in prima persona?

P. Gerardo: “Per me è stato un bel colpo, perché mi trovavo in piena formazione, tra gli anni di filosofia e quelli di teologia, in un momento in cui il discernimento sulla mia vocazione non era ancora concluso. Alla fine ho concluso che non dovevo lasciare la famiglia  religiosa per il solo fatto che ci fosse stato un problema simile, ma che fosse anche mio compito fare la mia parte. Il conforto che ho avuto è che la Chiesa ci è venuta incontro impiegando le forze migliori e ha fatto veramente di tutto perché si uscisse fuori da questa situazione. In particolare padre Gianfranco Ghirlanda e mons. Velasio De Paolis, canonisti, ci hanno aiutato a modificare le costituzioni, intervenendo sui punti deboli e lo hanno fatto con affetto e competenza”.

P. Lauro: “E’ stata per me una sorpresa per una situazione che non conoscevo. Il fondatore per me ha avuto un ruolo importante nella mia vocazione e penso comunque che del bene ne abbia fatto. Dicevo di essere stato sorpreso, perché durante la mia formazione (sono in congregazione dal 1984) si parlava già apertamente della necessità di prevenire abusi del genere e si consigliava misure molto pratiche, come quella di avere molte porte a vetro e di non creare luoghi troppo chiusi e appartati pur in palazzi storici, dove sarebbe stato possibile averli. Mi chiedevo che cosa servisse tutto questo e ora scopro che viene esplicitamente richiesto, come forma di prevenzione. Pensavo che come congregazione ci fosse già una sensibilità particolare”.

Avete parlato del fascino che il carisma del fondatore ha esercitato su di voi e sul discernimento della vostra vocazione. Potete precisare meglio in che cosa consiste questo carisma?

P. Gerardo: “E’ necessario distinguere il carisma del fondatore, dal carisma comunitario di fondazione. Quest’ultimo non è solo legato ad una persona, ma al dono del Signore attraverso il nostro ordine religioso. 

Ricordo che ho conosciuto i Legionari di Cristo nella mia parrocchia a Buenos Aires. C’erano tre sacerdoti, di età diverse e anche di esperienze diverse, ma tutti appassionati della loro missione. Mi hanno fatto innamorare della figura di Gesù Cristo. La centralità di Cristo, che regna dalla croce è il tratto specifico della nostra spiritualità: quando pronunciamo i voti facciamo riferimento all’essere insieme a Maria e Giovanni sotto la croce. Inoltre ero conquistato dal loro zelo apostolico, che, secondo le parole di Pio XII, doveva alimentare una vera e propria leadership in America Latina. 

Infine mi è piaciuta molto l’attenzione all’essere al servizio della Chiesa Locale”.

P. Lauro: “Anch’io penso che più che di carisma del fondatore si debba parlare del comprendere il dono che il Signore ha fatto alla Chiesa attraverso i Legionari di Cristo. Oltre alla centralità di Gesù Cristo, parlerei di radicalismo evangelico e di chiarezza di identità sacerdotale, che mi hanno molto colpito in un momento in cui, dopo il Concilio Vaticano II c’era molto disorientamento. Inoltre sono stato conquistato dalla spiritualità profonda, dalla carità evangelica vissuta in pratica, che si esprime anche nelle opere educative in cui collaborano clero e laici. Infine la fedeltà alla Chiesa e la volontà di seguire il Papa da vicino”.

Si dice ce questa vicenda abbia contribuito alla disaffezione alla Chiesa nella gente. In che modo pensate che un gesto come quello fatto dai Legionari di Cristo vada nella direzione opposta?

P. Lauro: “Intanto penso che la gente veda anche il bene che possiamo fare a livello locale e non sempre faccia di tutta l’erba un fascio. Per il resto penso che non necessariamente il rivelare i nomi sia quello che fa la differenza. Intanto certi nomi non sono stati rivelati perché il procedimento è ancora in corso e il giudizio non è stato ancora concluso. Oppure perché qualche vittima ha chiesto di non rivelarlo per evitare di dover rendere pubblica la propria situazione di vittima. Oppure in certi stati vi sono leggi che tutelano la privacy e impediscono questa operazione. Penso che influisca molto di più il messaggio che si manda per recuperare la fiducia e per riconoscere che il problema degli abusi è serio e diffuso ovunque”.

P. Gerardo: “Sono sicuro che un gesto del genere per le vittime è molto importante. Dare un nome e dire che il colpevole è chi ha commesso l’abuso libera spesso da sensi di colpa che chi ha subito violenza tende ad avere. Nello stesso tempo testimonia la realtà di una Chiesa santa e peccatrice, che riconosce il proprio peccato e che ne chiede perdono. In questo modo si diventa “guaritori feriti”, secondo una felice espressione di Ermes Ronchi. Insomma, questa vicenda non ci ha tolto la gioia di essere una famiglia, famiglia che ha appena ricevuto un lezione che la rafforzerà”.

DiBa