Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Marco Prastaro questa mattina nella Collegiata di San Secondo durante la Celebrazione Eucaristica per la Festa Patronale di Asti.
Anche quest’anno la festa di San Secondo ci dà l’occasione per ritrovarci qui riuniti nella nostra bella Collegiata.
Ci siamo un po’ tutti: i nostri sacerdoti, le autorità civili e militari, che nuovamente saluto, i nostri amministratori, le varie realtà che guidano e indirizzano la vita della nostra città, e poi in modo sempre così bello, tutto il mondo del Palio, che celebra 750 anni! ed attraverso di loro tutto il popolo più semplice della nostra città.
Quello che qui celebriamo non è solamente un evento cittadino legato alla tradizione, ma è, per noi credenti, il nostro ritrovarci per celebrare il patrono della città e della Diocesi.
Questa celebrazione avviene poi a pochi giorni dalla morte di Papa Francesco le cui radici risiedono nella nostra terra e nella nostra città.
Questa celebrazione ci chiede di confrontarci con la Parola del Signore, di guardare alla nostra vita e alla vita della nostra città e chiederci che cosa il Signore ci suggerisce perché possiamo camminare e crescere sempre nella sua volontà, nel suo disegno di un mondo giusto e pacifico in cui ciascuno può esprimere sé stesso e può trovare rispettata la propria dignità.
Nelle letture che abbiamo ascoltato ritorna più volte il riferimento alla verità: S. Paolo accennava alla necessità di avere “parole di Verità”. Nel vangelo Gesù chiedeva al Padre: “Consacrali nella verità. La tua parola è verità”. Tutte le letture sottolineavano che la verità è il vero scudo che custodisce dal maligno.
Ripensando alla vita del martire Secondo non possiamo non constatare che il martirio, frutto della cattiveria di chi non accetta idee o fedi diverse dalla propria o di chi è così attaccato al potere da temere ogni minima critica o contestazione, è anche il frutto insanguinato del silenzio di tanti, di chi di fronte alla verità ha paura ad esprimersi ed esternare il proprio pensiero o la propria indignazione.
Questa constatazione ci provoca su quanto noi fedeli cattolici di questa città (e in qualche modo tutti i cittadini) siamo capaci di parlare, di non tacere di fronte a ciò che non è giusto e non va bene, di quanto siamo capaci di indignarci e poi di trasformare l’indignazione in azione concreta. Non sto parlando dei così detti “leoni di tastiera”, vorrei parlare del coraggio di confrontarsi, di discutere, di evidenziare ciò che non è evangelico o giusto così come il buono e il bello che c’è nell’altro, fosse anche il mio avversario.
Mi sembra che la Parola di Dio che oggi abbiamo ascoltato ci dica che dobbiamo deciderci a lasciare il chiacchiericcio sommesso, il borbottare continuo, di fronte a ciò che non va, magari anche di fronte alla prepotenza o forse più semplicemente alle pretese interessate di qualcuno, di pochi, che così profondamente segna la fatica che questa città vive.
Come comunità credente dobbiamo avere più coraggio a proporre il Vangelo, anche a dire, certo con garbo, senza aggressività e mai con disprezzo, ciò che non è secondo il Vangelo. Siccome riteniamo che la fede è la cosa più importante della nostra vita, dobbiamo uscire da questo atteggiamento pavido che tace, o meglio borbotta, che gira la testa dall’altra parte o che lascia fare per non avere problemi, che non si fa coinvolgere nelle vicende degli uomini e delle donne della nostra città.
Chi, come me, poi ha delle responsabilità su questa comunità deve lasciarsi continuamente provocare dalla Parola di Dio, perché non sia solo una parola proclamata, ma diventi atteggiamenti e scelte concrete. Così come, poiché le parole esprimono pensieri, suscitano atteggiamenti, generano azioni, dobbiamo vigilare su ciò che diciamo, scriviamo o facciamo, perché ci sono parole, atteggiamenti e azioni che non sono secondo il Vangelo.
Il martire Secondo ha pagato con la vita il silenzio di tanti. Facciamo in modo che nella nostra città non continuino ad esserci persone che pagano il silenzio di chi sa e capisce, ma preferisce tacere.
Dicevo che celebriamo questa festa a pochi giorni dalla morte di Papa Francesco, un figlio di questa terra. La sua eredità è molto grande, e la nostra città che lo ha fatto suo cittadino onorario, dovrà dimostrarsi capace di dare frutti buoni dalle radici che egli ha rappresentato. Gli ultimi suoi due gesti, la visita al carcere di Regina Coeli e, la domenica di Pasqua, il giro fra il suo popolo in piazza san Pietro, ci lasciano due moniti molto chiari: gli ultimi di cui prenderci cura e farci vicini e la vita del popolo nella quale immergerci.
Nell’indire il giubileo della speranza Papa Francesco ha indicato alcune categorie verso le quali porre segni concreti di speranza. Mentre vi invito a rileggere la bolla di indizione del giubileo in cui parla di tutto ciò, mi permetto di richiamare, nell’ordine in cui lui le ha citate le sei categorie a cui prestare attenzione, categorie che mi sembrano più che valide anche per la nostra realtà: i detenuti, gli ammalati, i giovani, i migranti, gli anziani e i poveri.
Chiediamo al nostro patrono Secondo, che non ha avuto paura di proclamare la verità del vangelo, pur sapendo che questo gli sarebbe costato la vita, di dare a noi forza e coraggio perché fra noi ci si possa parlare con maggior verità e parresia, perché nessuno abbia timore a manifestare le proprie idee e la propria indignazione e perché tutto questo avvenga sempre nella pace e nel rispetto reciproco.
San Secondo, martire coraggioso della verità, prega per noi