L’assessore Cotto, nel suo irresistibile slancio filantropico, ha annunciato l’intenzione di fare di
Asti la capitale europea del volontariato. L’intenzione è ben fondata, sorretta com’è da una pratica
amministrativa di lungo corso, spesso accompagnata dalle conferme dei rappresentanti delle
istituzioni civili e religiose della città. L’ultima, in ordine di tempo, l’inaugurazione della nuova
sede del Centro per le Famiglie, in P. Roma.
Questo reiterare di filantropia, con l’idea che i cittadini senza conto in banca possano essere
solo consumatori di servizi o muti destinatari di azioni altrui, sembra essere una innocua scelta fuori
tempo di un assessore che non si avvede di ciò che sta accadendo attorno all’emergenza pandemia.
E’ indubitabilmente un cambio d’epoca. Il rovesciamento di analisi e prospettiva, che realizza la
Commissione Europea con il Next Generation EU (Ngeu), vale a dire l’uscita dal modello di
sviluppo che ha prodotto la presente crisi economica, sociale, ambientale e sanitaria, non sollecita
un di più di filantropia, piuttosto obiettivi ed azioni che garantiscano al tempo stesso equità sociale
e sostenibilità ecologica.
Ora, si può dubitare delle scelte della Commissione Europea, perché cadono dall’alto di una
governance che sembra voler fare a meno della democrazia liberale, avendo in ripulsa quella diretta,
ma portare indietro la ruota del tempo, come fa l’assessore, quando le politiche dell’austerità e delle
privatizzazioni mettevano fine al welfare novecentesco e la filantropia privata e di Stato era l’unica
risposta ai gravissimi problemi sociali indotti dal neoliberismo trionfante, è una scelta, come
vedremo, tutt’altro che innocua.
L’assessore sembra non avvedersi che la solitudine della povertà e della esclusione era, nel 900
e dintorni, una prerogativa di una parte minoritaria della popolazione, oggi invece è una prerogativa
della società nel suo insieme. Una società dove sono andati spegnendosi, nei decenni prima della
pandemia, per delegittimazione ma anche per «l’innovazione impetuosa dei modi di produrre, delle
forme di vita, delle relazioni sociali» indotta dalla ennesima metamorfosi del capitalismo» (Do you
remember revolution”, Paolo Virno, Toni Negri ed altri), i corpi sociali intermedi, in cui si
riconoscevano operai, contadini, piccola e grande borghesia.
La disuguaglianza e l’irrilevanza sociale sono esplose in una dimensione come non si era mai
vista. L’ISTAT ha stimato per il secondo trimestre del 2020 un crollo del pil senza precedenti (-
12,4%), facendo prevedere una drastica impennata della povertà. Puntualmente, tutti i rilievi delle
organizzazioni non governative (Caritas, Coldiretti, Action Aid, Save the Children) che sono
seguiti, hanno documentato un scivolamento sotto la soglia della povertà relativa poco meno di un
italiano su quattro e al di sotto della povertà assoluta un italiano su sei.
Ebbene, tenere in ombra un fenomeno sociale di queste dimensioni, come fa l’assessore,
significa covare un malessere sociale, rancoroso, che va alla ricerca del capro espiatorio e del
demagogo di turno. Ancora peggio, prolungando di proposito tale situazione, caratterizzandola
come emergenza, si disciplina quel malessere in modo che a nessuno venga in mente di indirizzarlo
verso obiettivi di giustizia e di riconoscimento sociale.
Ma i confini di questo conflitto malamente trattenuto sono gli stessi dell’azione solidaristica e
dell’atto compassionevole. Nella loro confusione, voluta o inconsapevole, si gioca il successo
dell’assessore Cotto e della sua Giunta. La nostra Costituzione, agli art. 2 e 3 mette in chiaro il
legame tra il dovere della solidarietà e la rimozione delle cause della disuguaglianza.
Ma è ancora più illuminante il punto 116 della enciclica “Fratelli tutti”. Vale la pena di citarlo
per esteso: “Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo
trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma è una parola che esprime molto più che alcuni
atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti
sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della
povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti
sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà,
intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti
popolari”.
Per il Coordinamento Asti-Est, Carlo Sottile